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  • Lotta al doping: ecco la soluzione

    Lotta al doping: ecco la soluzione

    • Cassandra
    Il doping è stato sempre presente nello sport almeno dal dopoguerra in avanti. Ha assunto nel tempo aspetti diversi passando dalla “bomba di amfetamine dei ciclisti” anni 60, al cocktail farmacologico degli atleti dell’est Europa degli anni 70 al nandrolone degli atleti anni 80 ad un disinvolto utilizzo di farmaci, allora non proibiti, dei calciatori negli anni 90, ma sempre con lo stesso fine: incrementare le prestazioni degli atleti nelle diverse discipline. E cercando, sempre e comunque, di eludere eventuali controlli con la colpevole consulenza di medici senza scrupoli e la interessata “disattenzione” di troppe federazioni sportive europee.
     
    Negli anni i farmaci si sono differenziati e le modalità di somministrazione si  sono raffinate per meglio rispondere alle diverse esigenze delle varie discipline sportive. Attualmente l’eritropoietina (Epo) è il farmaco più utilizzato nel doping perché consente di aumentare la resistenza alla fatica attraverso l’incremento dei globuli rossi che, pertanto, trasportano più ossigeno ai muscoli. In altre parole l’Epo rende più facile e duraturo l’effetto che anni fa si otteneva con gli allenamenti in altura o con le trasfusioni di sangue. Ed è, inoltre, molto difficile e costoso rilevarne la presenza nell’organismo di chi lo ha assunto. Efficace è, invece, la verifica degli effetti del farmaco attraverso il passaporto biologico. Con questo strumento si valuta l’ematocrito, cioè il rapporto tra globuli rossi e il plasma, e se ne oggettivano eventuali abnormi incrementi dei quali l’atleta deve dare spiegazioni. 
     
    Si è detto e scritto che l’Epo mal si adattava a discipline di squadra come il calcio ma questa è un’affermazione alquanto azzardata in quanto, ad oggi nessuno ha fatto una sola ricerca scientifica seria nel mondo del calcio. Sicuramente si può dire che l’Epo non incide sull’aspetto tecnico della prestazione perché non fa diventare campione chi campione non è. Quello che cambia con l’assunzione del farmaco suddetto è la resistenza alla fatica che aumenta e non per una singola partita ma per un periodo medio lungo a seconda delle somministrazione nel tempo. E’,  quindi, evidente il vantaggio che avrebbero le squadre con alcuni giocatori trattati con l’Epo soprattutto a fronte di compagini  “pulite farmacologicamente” . I danni sportivi ed economici sono irrecuperabili sia per gli atleti onesti che per le società e federazioni sportive corrette. 
     
    Ma tutto questo deve, purtroppo, essere ancora dimostrato. Meglio, quindi, prevenirlo.
     
    Come fare allora? Una sola cosa: il passaporto biologico. Da subito e con indagini numericamente ridotte per essere sostenibili nel tempo. Come?
     
    Controllando i parametrici ematici dei calciatori inseriti nelle liste premondiali di Brasile 2014. In questo modo si avrebbe uno spaccato attendibile dell’eventuale estensione del fenomeno doping nei diversi paesi e un campionato del mondo di calcio senza ombre.
     
    La F.I.G.C. , attraverso le dichiarazioni di Abete e di Capua, ha dimostrato di voler procedere in questa direzione. Se la Nazionale di calcio si presenterà ai mondiali del prossimo anno in Brasile con il passaporto biologico degli azzurri in regola, darà un segnale forte ad un mondo dove le buone intenzioni, forse, non mancano ma che stentano a tradursi in atti concreti.
     
    E questo farà felice Mennea che del doping è stato nemico giurato.

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