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  • Luis Enrique, la dignità di un uomo vero: il fallimento non è suo, è della Roma

    Luis Enrique, la dignità di un uomo vero: il fallimento non è suo, è della Roma

    Sono sempre i migliori che se ne vanno. Le dimissioni di Luis Enrique non sono la certificazione del suo fallimento, ma del fallimento della Roma società che l'ha letteralmente lasciato senza difesa. Nel senso che ha sbagliato il mercato, dimenticando come una grande squadra si costruisca prima di tutto dalle fondamenta.Baldini chein estate  aveva dato del pigro a Totti e Sabatini che di Totti aveva detto potesse essere la causa estrema dei mali giallorossi, devono interrogarsi su quanto e quando abbiano concorso alla resa dell'uomo da loro scelto. 

    Usciti di scena per gravi infortuni Burdisso e Juan, la retroguardia giallorossa si è sfaldata come la pastafrolla con Heinze, Kjaer, Josè Angel, Taddei che terzino non  lo è mai stato e si è visto. Per non dire delle volte in cui, causa emergenza, il tecnico spagnolo è stato costretto ad arretrare De Rossi, deprimendone la forza e indebolendo vistosamente il centrocampo.

    Sia chiaro: anche l'allenatore ha commesso molti errori e i risultati sono stati inferiori alle attese: 14 sconfitte in 37 gare di campionato; due derby persi su due, la mancata qualificazione a una coppa europea, l'emarginaziojne iniziale di Totti non a casa subito costata l'eliminazione immediata dall'Europa League,  la sensazione di essere rimasto in mezzo al guado di una rivoluzione incompiuta.

    Ma una grande squadra non si costruisce in una stagione, soprattutto se l'organico viene radicalmente rinnovato: bisogna concedere  il tempo di lavorare in pace. Luis Enrique non l'ha avuto e ne ha tratto le conclusioni con la coerenza di un uomo vero, rinunciando a un anno di corposo ingaggio.

    In un Paese, l'Italia, dove non si dimette quasi mai nessuno, il gesto del quarantaduenne ex allenatore del Barcellona B è stato l'atto di dignità di una persona perbene, cosi' come esemplari sono state le sue parole di congedo. Le ha pronunciate davanti a una squadra annichilita che si spera ora sia assalita da più di un senso di colpa.: "«Vado via perchè non me la sento di andare avanti, non riesco più a dare il 100%.  Per me andare via è una sconfitta, non sono riuscito a trasmettere quello che volevo, non sono riuscito a mettere sul campo le idee del mio calcio». E ancora: «Mi scuso con quelli di voi che ho impiegato meno, che non sono riuscito a valorizzare, ma ero chiamato a fare delle scelte. Continuate comunque a seguire questa grande società».

    Una società alla quale Luis Enrique ha risolto un problema, creandone un altro: il sostituto. Pulvirenti ha immediatamene opposto il fuoco di sbarramento catanese su Montella e se la Roma dovesse andare su Villas-Boas che ha mancato di poco la disintegrazione del Chelsea, la scelta sarebbe tanto azzardata quanto masochistica perchèallora, bisognava murare Luis Enrique a Trigoria.

    L'asturiano è un uomo vero in un mondo di falsi, come recitava lo striscione inalberato dai suoi tifosi quando ancora gli davano fiducia. Dovevano avere più pazienza. Luis la meritava tutta. Non è lui che ha perso la partita.

     

    Xavier Jacobelli

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