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  • Ventura mai più in Italia: inadatto e presuntuoso, emigri in Cina!

    Ventura mai più in Italia: inadatto e presuntuoso, emigri in Cina!

    • Giancarlo Padovan
    Che cosa muove Urbano Cairo, presidente del Torino e di Rcs, a perorare la causa del rientro in  panchina di Giampiero Ventura, il peggior c.t. degli ultimi sessant’anni di storia calcistica italiana?

    Conosco Cairo da una quindicina d’anni e ho avuto anche la fortuna di lavorare per lui. Oltre che un imprenditore straordinario, come dimostrano le sue attività, è una persona illuminata, generosa e riconoscente. Può darsi, dunque, che nei confronti di Ventura prevalga il giudizio positivo degli ultimi cinque anni di lavoro al Toro. Può darsi che, più semplicemente, voglia dargli una mano in una fase di difficoltà. Può darsi che lo consideri ancora credibile per fare il mestiere di allenatore che Ventura ha sempre fatto seppur con risultati modesti.
    Tutto può essere e ciascuno è libero di farsi palladino di chicchessia.

    Il punto è che questa volta non solo non sono d’accordo con Cairo, ma mi permetto anche di dire qualcosa di più: perché mai una società di serie A o B dovrebbe puntare su un settantenne reduce dalla più vergognosa caduta calcistica nazionale?

    Per quanto mi riguarda, spero proprio che Ventura abbia chiuso con Italia-Svezia, si goda i soldi che la Federazione ha continuato ad elargirgli fino alla conclusione della stagione (per andarsene ha dovuto essere esonerato: una lezione di stile!), risparmiandoci le sue elucubrazioni tattiche o le sue considerazioni morali.

    Ricordate?

    Era lui che rivendicava l’invenzione del 4-2-4 (dicendo che l’aveva attuato prima di Conte), il sistema di gioco che ci mandò al macello contro la Spagna nella gara di ritorno del girone di qualificazione.

    Era lui che decise di non schierare Insigne nella partita decisiva, lui che attaccava Sacchi dicendo che quella nazionale (seconda al Mondiale ’94) tirò in porta dopo 73 minuti con l’Eire, lui che sosteneva che i nostri ragazzi avrebbero avuto un grande futuro.

    Dice Cairo sempre parlando dell’ex c.t.: “Non credo che la mancata qualificazione al Mondiale sia stata tutta colpa sua perché sono importanti gli allenatori e i giocatori, ma è fondamentale soprattutto la dirigenza. E, secondo me, c’è una bella componente dirigenziale che ha influito molto”.

    Non so se il presidente del Torino alluda a Carlo Tavecchio, il deposto numero 1 della Federcalcio. Certo, Tavecchio ha commesso molti errori, il primo dei quali è stato quello di fidarsi di Lotito e, in seconda battuta, di Marcello Lippi. Tuttavia a Ventura ha concesso il mandato più ampio possibile, gli ha fatto un contratto consistente (come mai prima nella carriera di allenatore) e glielo ha addirittura rinnovato fino al successivo Europeo, senza che il c.t. avesse portato a casa nemmeno la qualificazione.

    Cosa avrebbe dovuto fare di più per esprimergli coraggio e fiducia? Decidere la formazione al posto suo? No, per me Tavecchio ha sbagliato proprio a scegliere Ventura, a dargli carta bianca e a riconfermarlo al buio. Il presidente ha ecceduto, fidandosi troppo di un allenatore inadatto e presuntuoso, come dimostrava il suo curriculum: cinque esoneri (più le dimissioni a Bari) e due retrocessioni a fronte di tre promozioni. Sempre e solo parlando di calcio professionistico.

    Quanto al calcio internazionale, Ventura ne era quasi totalmente digiuno.
    Un giorno che, sbagliando, dissi che aveva fatto solo una partita in Europa League con il Torino, fu proprio Urbano Cairo a bacchettarmi, privatamente, dicendo che al contrario ne aveva fatte quattordici. A Sportitalia, quindi pubblicamente, mi scusai con Cairo, Ventura e il Torino ribadendo però un concetto: una o quattordici erano sempre poche, a maggior ragione se le prime quattro appartenevano alla fase preliminare di quella competizione.
    Alla fine, sventuratamente (avverbio mai tanto opportuno), si è visto chi aveva ragione.

    E’ per questo che ora più di prima rivendico il diritto di dire: mai più Ventura su una panchina italiana. Faccia come Lippi che, dopo il fallimento del 2010, emigrò in Cina. O come Prandelli che, eliminato al primo turno nel Mondiale brasiliano, continuò a perdere (tre esoneri in Turchia, Spagna e Emirati Arabi) lontano da qui. A meno che nel nostro calcio ci sia posto solo per chi fa peggio.

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