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  • Mancini e la Fiesole, una brutta storia

    Mancini e la Fiesole, una brutta storia

    • Pippo Russo
    Come si dice in casi del genere, è stata una storia breve ma intensa. Quella tra Mancini e la Fiorentina, consumata in meno di un anno tra fine febbraio 2001 e primi di gennaio 2002. Soprattutto, si tratta di una storia sbagliata, la cui fine è già nota nel momento stesso in cui tutto iniziava. La Firenze del calcio è una polveriera, nel marasma del cecchigorismo declinante e ormai avviata sulla china che porterà al fallimento dell’estate 2002. E lui, il Mancio, non è nemmeno sicuro d’aver deciso cosa fare da grande. Forse nemmeno è certo d’aver smesso di fare il calciatore, dato che appena un mese prima tirava calci a Leicester, in Premier League. Aveva firmato il contratto a gennaio 2001, tornando sui propri passi rispetto alla decisione di chiudere la carriera agonistica presa a giugno 2000. Ma dopo quattro partite in Inghilterra si era già stufato di quel ritorno in campo e aveva ri-smesso. “Fino a quando?”, è lecito domandarsi in quei giorni. Inoltre, non ha nemmeno i titoli per sedere in panchina. E quanto all’esperienza da allenatore, è palese che debba cominciare a farla a spese della Fiorentina.

    A aggiungere motivi di malanimo fra lui e l’universo viola ci si mettono altri due fattori: il suo essere una scelta di Mario Sconcerti, e il rapporto tra la tifoseria viola e il predecessore del Mancio sulla panchina della Fiorentina, il turco Fatih Terim. Sul passaggio di Mario Sconcerti in viola bisognerebbe scrivere un bel romanzone trash. Arrivato a gennaio 2001 dopo aver lasciato la direzione del Corriere dello Sport-Stadio, Sconcerti assume la carica di amministratore delegato e rimane fino a giugno litigando con mezzo mondo. Poi torna a fare il giornalista. Quanto a Fatih Terim, è protagonista di un’altra storia breve ma intensa. Populista fino al midollo, capisce subito che nel conflitto tra Vittorio Cecchi Gori e la tifoseria bisogni schierarsi dalla parte della “gggente”. Sotto la sua guida, la squadra ha un inizio stentato ma poi prende a giocare un gran calcio, arrampicandosi al terzo posto e conquistando la finale di Coppa Italia. Quindi arriva un calo, forse fisiologico o forse no. Non lo sapremo mai, perché dopo un pareggio interno contro il Brescia (2-2, con doppietta di Robi Baggio per le Rondinelle) Terim e Vittorio Cecchi Gori vengono quasi alle mani. La Fiorentina scivola verso metà classifica, e pochi giorni dopo quello scontro col presidente Terim si dimette. Se ne vanno pure Giancarlo Antognoni e Antonio Di Gennaro. I maligni sostengono che il tecnico turco abbia già in tasca un accordo col Milan per la stagione successiva. Terim nega con sdegno. Pochi mesi dopo sarà sulla panchina rossonera, ma non arriverà a mangiare il panettone.

    È nel bel mezzo di questo marasma che Roberto Mancini sbarca a Firenze. Accolto da diversi motivi di diffidenza. Non ha i titoli per allenare un club di quell’importanza, e nemmeno la gavetta che serve. Per risolvere il primo problema Sconcerti conduce una battaglia da videogame sanguinolento contro il Settore Tecnico della Figc per ottenere una deroga. Ciò che rafforza l’aura da “tutelato” attorno a Mancini. Quanto al rendimento della squadra, non migliora né peggiora. La Fiorentina si piazza nona a pari merito col Bologna, un punto sotto Atalanta e Brescia e appena un punto sopra il Perugia. Però arriva anche la vittoria della Coppa Italia, al termine della doppia finale contro il Parma di Renzo Ulivieri. Si tratta dell’unico trofeo vinto dal club Viola da quasi vent’anni a questa parte. I detrattori sminuiscono questo successo dicendo che il percorso verso la finale era stato guidato da Terim. E a dire il vero lo stesso Mancini riconosce il giusto tributo al collega.

    Quelli che portano alla fine della stagione 2000-01 sono ancora giorni di caos relativo. Ma poi arrivano quelli della catastrofe. L’abbandono di Mario Sconcerti e il ritorno di Luciano Luna segnano il confronto con una realtà durissima: i conti della Fiorentina sono da panico, bisogna vendere i calciatori migliori per fare cassa. E forse nemmeno basterà. Parte Francesco Toldo per 55 miliardi di lire, destinazione Inter; poche settimane prima Sconcerti si era vantato di averlo venduto al Barcellona, per un affare mai andato in porto. Viene venduto anche Manuel Rui Costa, al Milan per 85 miliardi, e il saluto d’addio che la gente viola gli dedica una sera di luglio al Franchi è uno degli episodi più struggenti nella storia del calcio italiano. Mancini si trova tra le mani un gruppo indebolito, con alle spalle una società disperata. È chiaro da subito che l’obiettivo sia la salvezza. La stagione parte male. La Fiorentina perde nettamente (3-0) la gara di Supercoppa Italiana all’Olimpico, e inaugura il campionato con due batoste preoccupanti: 0-2 in casa contro il Chievo, alla sua prima assoluta in serie A, e 2-5 al Meazza contro il Milan di Terim. Ma poi nelle successive tre partite i viola fanno il loro dovere: battono in casa (entrambe 3-1) due rivali per la salvezza come Atalanta e Venezia, e fra queste due gare perdono senza sbracare (1-2) sul campo della Roma campione in carica. Ma proprio in occasione della gara contro il Venezia giunge l’episodio che dà la mazzata definitiva al campionato viola: il grave infortunio di Enrico Chiesa, che mette l’attaccante fuori causa fino al termine del campionato. Autore di una grande stagione l’anno precedente, Chiesa aveva già realizzato 5 gol nelle prime 5 partite. Senza di lui le già scarse speranze di salvezza scendono in picchiata verso lo zero.

    Infatti da quel momento in poi la Fiorentina precipita. E Mancini non riesce a arginare la caduta, mettendoci il suo con insicurezze assortite. Il rapporto con l’ambiente, mai sereno, peggiora in modo irrimediabile. Compreso quello coi giornalisti, come testimonia l’episodio dell’insulto omofobo a Alessio Da Ronch della Gazzetta dello Sport riesumato nelle scorse settimane. E poi c’è anche l’incontro ravvicinato con un gruppo di ultras, in piena notte sotto casa dell’allenatore. I rappresentanti della curva lo aspettano per chiedergli conto del pessimo andamento della squadra. Ne nasce una discussione animata, ma non violenta. Sembrerebbe chiusa lì, e invece i tifosi presenti quella notte sotto casa del tecnico si ritrovano denunciati per violenza privata. Nella denuncia l’allenatore lascia intendere che è questo episodio a determinare la scelta di rassegnare le dimissioni da allenatore della Fiorentina, avvenuta dopo la sconfitta in casa contro il Perugia di Serse Cosmi (1-3) nella prima gara dell’anno 2002. Invece mesi dopo, a fallimento della Fiorentina avvenuto, si scopre che il tecnico si è inserito nella procedura fallimentare per esigere stipendi non riscossi. Viene fuori che Roberto Mancini non si è mai formalmente dimesso dall’incarico. E poiché nella “costrizione a dimettersi” manca l’oggetto della costrizione, da querelante il tecnico si ritrova querelato per calunnia. Uno spettacolare gol subìto in contropiede, l’ultimo atto di una storia che sarebbe stato meglio non iniziasse mai.

    @pippoevai

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