Calciomercato.com

  • Calcio omofobo 'Tutto ma non finocchio'
Calcio omofobo 'Tutto ma non finocchio'

Calcio omofobo 'Tutto ma non finocchio'

  • Pippo Russo
La parola maledetta resta in bocca a chi l’ha detta. È una filastrocca che recitavamo da bambini quando ci sentivamo rivolgere qualcosa di poco piacevole o esplicitamente volgare. Si provava a dimostrarsi superiori: e anziché rispondere per le rime con insulto e mezzo a insulto, o corcàre di mazzate chi a parole ci aveva macchiato l’onore, ci si faceva di gomma col rimbalzo dell’insulto verso l’insultante. In realtà l’effetto era sterile e pure frustrante: perché se quello ci aveva detto “stronzo”, dopo essersi sentito snocciolare la tiritera ci diceva “stronzo” altre tre volte. E a quel punto ripetere tre volte che “la parola maledetta resta in bocca a chi l’ha detta” era una fatica bestia, intanto che l’altro impiegava un nanosecondo a reiterare l’offesa.

La filastrocca mi torna in mente durante queste ore in cui la polemica fra Maurizio Sarri e Roberto Mancini infuria. E il motivo è che davvero la parola maledetta – cioè “finocchio” – è rimasta in bocca a chi l’ha detta. Ma contrariamente a quanto viene sostenuto, chi ne porta l’onta non è soltanto chi l’ha scagliata contro l’altro come un’odiosa offesa, ma anche chi l’ha subìta e ne ha fatto motivo d’irriducibile lesione al proprio onore.

Il denominatore comune ai due comportamenti è quello di sempre: il pregiudizio omofobo secondo cui nel calcio italiano (quello maschile, va precisato) tutto si può perdonare tranne l’omosessualità. La questione (il problema, direbbero i più) va rimossa. Don’t ask, don’t tell. Sicché quando giunge un episodio come quello di ieri sera al San Paolo, ecco che le reazioni sono isteriche. Ciò che toglie a entrambi i litiganti la possibilità di prendersi la ragione. Analizziamo perché, vedendo la cosa da entrambe le parti in causa.
 
Sarri – La si può rigirare come si vuole, ma l’atto linguistico del tecnico napoletano è stato squallidissimo. Una rovinosa caduta di stile, di quelle che restano come macchie indelebili. Si ha un bel dire che in campo ci s’insulta in tutti i modi possibili, e che se ciò dovesse essere materiale da giudice sportivo si rischierebbe di non mettere insieme 11 giocatori per squadra già alla quarta di campionato. Verissimo, ma si tratta di una scusa che non scusa. Perché un conto è dirsi reciprocamente d’avere la testa di quiz, o infamare la virtù delle madri e delle sorelle; altro è scagliare addosso a qualcuno l’omosessualità facendone un insulto. Chiamasi “discriminazione”, perché usando l’orientamento sessuale (vero o presunto che sia) di una persona come un’offesa si offende tutte le persone che hanno quell’orientamento sessuale. Un atto imperdonabile. Ma è soprattutto l’aspetto linguistico in sé a meritare attenzione, con specifico riferimento all’uso della parola fatto da Sarri. A questo proposito viene da chiedersi: ma chi diamine è che ancora usa la parola “finocchio”? È roba da anni Settanta, massimo Ottanta. Da tempo esistono parole più al passo coi tempi per esprimere il concetto. E se proprio capita di sentir pronunciare quel termine, potete star certi che chi lo fa è maggiore di settant’anni. Personalmente, l’ultima volta che mi capitò di sentirlo proferire fu una mattina al bar, all’ora della colazione – cioè l’ora in cui capita di udire le più gustose amenità. Teneva banco la notizia della rottura della relazione fra George Clooney e Elisabetta Canalis, e a quel punto intervenne a dire la sua un ultra-settantacinquenne. Che in vernacolo fiorentino, e con piena certezza delle proprie idee, sostenne che “questo qui è dimòrto finocchio”. E poi espose una teoria suggestiva secondo cui Clooney mette in piedi relazioni sentimentali con bellissime donne soltanto per fare da paravento alla sua omosessualità. Roba da bar, appunto. E da ultrasettantenni. Per questo, al di là dello squallore dell’atto linguistico, viene da chiedere a Sarri: ma come fa a usare un insulto così vintage? Davvero è ancora fermo lì?
 
Mancini – L’allenatore interista è vittima, sì, ma fino a un certo punto. Perché, riprendendo l’argomento esposto sopra, ha assunto come una mortale offesa l’essersi visto dare del “finocchio”. Si fosse sentito dare del testa di quiz, o gli avessero offeso il parentado femminile naturale e acquisito, forse l’avrebbe chiusa lì. Invece ha sbraitato perché il collega ha osato mettere in discussione la sua virilità, e denunciandone pubblicamente l’atto linguistico gli ha fatto una carognata mica da poco. Come si direbbe in siciliano, l’ha “mascariàto”. Ne ha incrinato la reputazione in modo forse irrimediabile, e giusto in un momento che vedeva il collega in fortissima ascesa presso l’opinione pubblica. E tutto questo perché? Perché evidentemente, fra tutte le offese che potesse sentirsi rivolgere, quella d’essere “finocchio” proprio no. E dunque ecco la violazione del codice secondo cui “le cose di campo devono rimanere in campo”. Evidentemente sentirsi indicare come omosessualie è cosa intollerabile pure per le “cose da campo” – perché evidentemente “i finocchi” in campo non ci devono nemmeno entrare – e dunque autorizza a derogare quella sorta di clausola compromissoria valevole invece per ogni altro insulto. In questo senso, il pregiudizio di Mancini verso l’omosessualità nel calcio rischia d’essersi rivelato persino più profondo che quello – pur becerissimo – di Sarri. L’allenatore del Napoli e quello dell’Inter rappresentano due facce diverse dell’omofobia dominante nel calcio. Che notoriamente non è sport per signorine, ma nemmeno per femminielli.

@pippoevai

Altre Notizie