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  • Marzo e aprile: i mesi in cui le squadre di Serie A fanno i provini. Ecco come convincere un ds a farsi prendere

    Marzo e aprile: i mesi in cui le squadre di Serie A fanno i provini. Ecco come convincere un ds a farsi prendere

    • Jean-Christophe Cataliotti
    Con il sopraggiungere della primavera molti ragazzi sognano di essere portati in prova in un grande club dai loro procuratori. Nei mesi di marzo e aprile fioccano i provini nei vari settori giovanili di tutta Italia dalla Lega Pro alla Serie A. Soprattutto i calciatori svincolati, ormai grandicelli, sono alla ricerca di una sistemazione per il prossimo anno. Nei settori giovanili i battenti per i nuovi tesseramenti chiudono il 31 marzo. Bisogna fare in fretta, occorre tempestare di telefonate i DS dei settori giovanili, insistere e promuovere con professionalità i propri giovani assistiti, ma ricordando che, a volte, portare un calciatore ad un provino potrà risultare un'impresa titanica!
    Ecco di seguito un racconto, tratto dal mio libro "Mollo tutto e divento procuratore sportivo", dal titolo "Venti di gloria". E il titolo, se avrete la pazienza di leggere tutto la storia fino in fondo, vi risulterà chiaro riga dopo riga. Buona lettura, senza dimenticare mai che nella vita, come nel lavoro, bisogna sempre trovare il tempo per farsi una bella risata.

    "Sono alla stazione dei treni. L’appuntamento è per le 12 davanti ai tabelloni delle partenze e degli arrivi. Il calciatore non l’ho mai visto. Ci siamo sentiti al telefono una decina di volte. E’ un giovane attaccante nigeriano rimasto senza squadra dopo aver militato due anni in Grecia nel campionato di serie B e un anno in Belgio in quello di serie C. Curriculum non straordinario quindi, ma decido di aiutarlo perché un amico-osservatore me ne ha parlato molto bene.

    “Ho visto una cassetta. Jean fidati: è una gazzella, fiuto per il gol, buoni piedi, ottimo di testa, in Italia può giocare anche in B!”.

    Squilla il cellulare: “Jean, arrivato io!”. Mi giro e mi trovo davanti una bestia di un metro e novanta che sta infilando un aggeggio metallico in un marsupio a tracolla.

    “Sei tu Chibuzor?” chiedo raggiante, immaginando in un istante questo colosso d’uomo in mezzo all’area avversaria che facendosi largo tra le maglie della difesa insacca di testa all’incrocio dei pali.

    Dopo le presentazioni di rito gli spiego la giornata che ho organizzato per lui. Prima di tutto lo porto a casa per farlo mangiare. Dobbiamo fare in fretta. La partitella è fissata per le 15 e Chibuzor non ha ancora pranzato. La pasta è fredda. Lui la mangia ad una velocità da guinnes dei primati. Lo guardo esterrefatto e gli verso della coca-cola supponendo possa servirgli per digerire i due etti di linguine al pesto che si è sbranato incurante della pesantezza del sugo. E dire che gli avevo consigliato di condire solo con l’olio e un po’ di grana! Mi chiede anche una banana. La mangia in due bocconi, giuro, in due bocconi!

    Siamo in macchina. E’ un’insopportabile, grigia e afosa giornata d’agosto. Mi trovo ad accompagnare l’ennesimo promettente (?) giovane africano ad un provino organizzato da una società importante. L’aria condizionata protegge me e il mio compagno di viaggio dall’opprimente arsura, resa ancora più pesante dall’asfalto che sembra bollire assieme alle ruote dell’auto. Conversazione banale sul calcio, sui sacrifici che esso comporta, sui sogni che affollano il sonno dei giovani calciatori. Dopo una ventina di Km. un improvviso afrore indefinito mi invade prima le narici, poi la glottide. Intuisco in un attimo la natura e la provenienza dello strano olezzo narcotizzante, ma non so come comportarmi. Redarguirlo, insultarlo, farlo scendere dalla macchina improvvisando una scusa qualunque? No! Devo resistere, essere empatico, capirlo! Spingo a più non posso sull’acceleratore tanta è la voglia di sottrarmi a questa inaspettata e subdola tortura olfattiva.

    A un certo punto, come se niente fosse, gli chiedo: “Allora Chibuzor sei carico per oggi o hai paura? Lui risponde con impercettibile senso di colpa: “Io no paura di provino. Non c’è problema se mangiato tanto. Io forte. Goleador!”.

    Mi metto il cuore in pace per un quarto d’ora, durante il quale non accade nulla, fino a che un’altra ventata di fogna impregna l’abitacolo. Nuovo sussulto da parte mia e questa volta grande frenata con la chiara intenzione di farlo scendere, compromettendogli il provino e magari la carriera. Chiede che succede. Lo guardo impietosito e con rinnovato sforzo empatico il viaggio riprende. Cerco di parlargli, ma qualcosa mi impedisce di approfondire.

    Superato l’ennesimo, pesante e oltraggioso sbuffo arriviamo a destinazione.

    Scendo dalla macchina esausto, gli do un cinque di incoraggiamento e lo invito ad andare verso gli spogliatoi per i preparativi di rito: massaggio, vestizione, scarpette allacciate ermeticamente. Senza dire una parola il sospiroso compagno di viaggio e di merende (mal digerite!) si precipita con un balzo felino (che fa ben sperare!) nella toilette degli spogliatoi, dando sfogo, anche sonoro, alle pulsioni più profonde. Squilla il cellulare. E’ lui! Mi chiede di portargli un rotolo di carta igienica o, almeno, una pagina di giornale. Avete capito che cosa vuol dire assistere un calciatore? Ebbene sì, il procuratore deve essere pronto ad esaudire anche il più riluttante dei desideri manifestati dal proprio giovane e promettente giocatore. In caso contrario la firma della procura va a farsi friggere. La psicologia del calciatore è semplice: tu mi hai lasciato nella m… e io non ti firmo la procura. Come biasimarlo! E allora mi metto a cercare disperatamente un rotolo di fortuna. Entro negli spogliatoi e trovo ad accogliermi alcuni calciatori seduti sulle panche di legno, gli altri, nascosti dietro a bianchi paraventi, sono ancora alle prese con gli energici massaggi di riscaldamento. Mi rivolgo ai pochi già pronti e chiedo timidamente dove posso trovare della carta igienica. Sono talmente afflitto che non mi accorgo nemmeno che il mio interlocutore è un ex dell’Inter, la mia squadra del cuore. Fausto P. mi indica una persona con una tuta. E’ il magazziniere, lo intuisco dai modi schietti. Faccio presente il problema di Chibuzor, problema che genera un’ilarità diffusa; anche dietro i paraventi si sghignazza a più non posso. Sento le guance arroventarsi di vergogna, ma mi faccio forza, non mollo (a quello ci pensa Chibuzor!), adotto la tecnica della resilienza e aspetto. L’ometto in tuta torna con il tanto atteso rotolo, lo afferro e mi dirigo verso la toilette.

    “Chibuzor sono io con la carta” sussurro dietro alla porta.

    La porta si apre. Una mano nera (non pensate male! E’ nigeriano!) mi sradica dalle dita l’agognata carta. Non ricevo neppure un grazie, ma almeno ho portato a termine una missione che spero porti fortuna.

    Fuori dagli spogliatoi inizio a pavoneggiarmi come si conviene ad un vero procuratore. Accendo una sigaretta, inforco gli occhiali da sole e dopo aver digitato il numero di Fulgenzia avvicino il portatile all’orecchio.

    “Pronto….Presidente è lei?”

    “Ohi devi fare la recita?” risponde la mia piccola Fully.

    “Sì, sono io Presidente. Sarò lapidario: ho la punta che le serve. Accanto a Recoba può fare miracoli!” esclamo a voce alta, per farmi sentire dal magazziniere nei cui confronti nutro una profonda antipatia.

    “Ciao amore, come sta andando Chibuzor?”

    “Il giocatore sta andando bene. In Brasile stravedono per lui. E’ un mancino col vizio del gol!”

    “Ciao piccolo, lo sai che mi manchi tanto!”

    “Anche io ho voglia di vederla Presidente. Appena posso vengo a Milano e ne parliamo a quattrocchi. A presto allora e naturalmente forza Inter!” chiudo in bellezza.

    “Va bene avvocato, la saluto anch’io!” chiude Fulgenzia, stando finalmente al gioco.

    Millantare è una tecnica difensiva utilissima per conquistare credibilità nel mondo del calcio. Il magazziniere, infatti, che non si è perso una parola della telefonata con Fulgenzia-Moratti, mi fa cenno di seguirlo verso il campo da gioco. Ad aspettarmi trovo il direttore sportivo con il quale scambio qualche parola di circostanza. Fremo dalla voglia di vedere Chibuzor in azione.

    La partitella inizia. Prova di Chibuzor così così.

    Consulto l’allenatore della squadra, chiedendogli come è andato il ragazzo.

    “E’ un Venezia, tiene troppo la palla e poi, nei momenti più importanti…scusa l’espressione…mi sembra che se la faccia un po’ addosso. Che ne dici?”

    “Concordo pienamente!” rispondo, trattenendo a fatica un sorriso.

    Del resto, considerati i prodromi, era già nell’aria (malsana!) che se la sarebbe fatta addosso.

    Ora non rimane che un triste pensiero: il ritorno in macchina con lo scoppiettante Chipuzor!



    Jean-Christophe Cataliotti - www.footballworkshop.it

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