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  • Milanmania: la via per tornare grandi

    Milanmania: la via per tornare grandi

    • Luca Serafini
    Un importante anno di passaggio verso un cambiamento storico, ma non ancora quello della svolta. Nel 2016 rossonero resterà il ritorno a 2 finali e un trofeo, assente da un lustro, insieme con il lancio o la consacrazione di ragazzi pronti per il futuro. Accompagnati, sovente oscurati, dalle laboriose interminabili trattative per il passaggio di consegne tra la proprietà Berlusconi e i nuovi seminascosti cinesi. 

    Sia a livello societario che sportivo, il riassunto dei 12 mesi alle spalle è un sofisticato cocktail delle contraddizioni di una club che vive la sua fase più delicata da 30 anni a questa parte. Il mix di sapori agrodolci ha stordito per molti mesi la sua tifoseria, sino all’effetto afrodisiaco della Supercoppa che sembrerebbe non aver fatto perdere di vista ai nuovi reggenti il reale valore di questa rosa, anzi apparentemente avendone galvanizzato il morale e incentivato gli investimenti. E’ questo il nodo focale in cui si snoda il Capodanno milanista: bisogna rileggere con attenzione le pagine del diario da gennaio a maggio, con profonda capacità di analisi e obiettiva valutazione dei fatti. Prima la querelle Mihajlovic-Brocchi, nella complicata gestione di un gruppo limitato tecnicamente, nel carattere e nella personalità. Poi un mercato ancora una volta all’insegna di questue avvilenti o improvvisi moti spendaccioni, peraltro assai poco giustificati e con scarsissima redditività sul campo. E’ stato il punto più basso del declino, affatto addolcito da una finale di Coppa Italia segnata in partenza, giocata con onore  e perduta giusto a causa di possibilità che l’avversario aveva nel potersi migliorare in corso e il Milan no. Cuadrado e Morata che confezionarono e suggellarono l’azione vincente partendo dalla panchina, sono stati gli ultimi involontari picconatori di un tempio già ridotto in rovina. Usando quella stessa arma, l’opulenza, che ha segnato 25 anni di epopea berlusconiana. 

    Non si tratta solo di soldi. La Juventus del dopo Calciopoli ne ha spesi tanti da subito, passando per delusioni cocenti, ma da quei fallimenti eclatanti ha saputo costruire la sua nuova leggenda. Si tratta di avere un progetto sportivo, una filosofia, un’ambizione che ad Arcore sono andati scemando negli anni, esaurendosi per stanchezza come naturale conseguenza dei tempi. Che passavano e che ovviamente, fisiologicamente cambiavano. Incapaci dei rimedi e delle intuizioni che ne hanno contraddistinto lo straordinario impegno sportivo per 5 lustri, Berlusconi e Galliani si sono limitati ad arrabattarsi dietro slogan farneticanti, cercando in verità nel frattempo una strada per uscire dal tunnel, da Bee ad altri fantasmi approdando a Sino Europe, le uniche porte si sono spalancate comunque in Cina. 

    Poi, luglio. La scelta di Montella. Chiunque ne abbia la paternità (Berlusconi spingeva Brocchi, Galliani ripiegava su Giampaolo) ha azzeccato il casting. Oltre a dare subito un’organizzazione e un senso al gioco, il nuovo allenatore ha capito prestissimo che avrebbe dovuto cucinare con gli ingredienti rimasti nella dispensa, oltre a qualche inscatolato in qualche modo rotolato nel carrello. Ha puntato sugli 11-12 piatti mangiabili (un paio al limite della commestibilità), provandosi pochissime spezie accessorie. A causa della carenza di controllo da parte dei vertici e di qualche infortunio o intoppo che glielo hanno imposto, Montella si è potuto permettere di promuovere in lista scelte alternative saporite della consistenza di Locatelli, Suso, Lapadula, risaltando in padella Paletta, De Sciglio, Niang, inventandosi il modesto Pasalic assurto a eroe di Doha, puntando ancora su Mati, convincendosi a gettare via Honda, Zapata, Luiz Adriano, forse Sosa e già solo per questo andrebbe applaudito e ringraziato. 

    In questa storia di 12 mesi a un certo punto società e squadra hanno preso a viaggiare su binari paralleli e lontani. Una abbandonando le postazioni da ristrutturare, l’altra timonata da un comandante acuto, concreto, determinato, forse sorprendendo persino se stesso in un’esperienza così diversa da quelle da lui sino vissute. Un’operazione delicata quanto una rivoluzione silenziosa, costellata da insidie di ogni genere, sporadicamente supportata da qualche indiscutibile colpo di fortuna di quelli che regolarmente accompagnano gli arditi. 

    Grazie all’illuminante 2016 oggi i cinesi sanno che esiste una base importante su cui lavorare, ma che sono indispensabili rinforzi di peso, rendimento e qualità in ogni settore fino alla panchina. Non è, mai ci stancheremo di ripeterlo, solo una questione di soldi, di investimenti, di "colpi": è soprattutto una questione di metodo, struttura, intuizione. Dai settori giovanili nascono promesse che possono essere mantenute soltanto se coltivate da uomini e professionisti di esperienza e di valore. Non necessariamente costano spropositi come Rodrigo Ely. 

    Il nuovo anno nasce e può proliferare soltanto attraverso il setaccio accurato della cenere arsa nei primi 5 mesi sino alla strenua difesa della polvere d’oro grattata con pazienza dall’estate ai primi giorni dell’inverno. Quella polvere va raccolta e blindata nel forziere, per tornare nei campi finalmente con le idee chiare sui sentieri floridi da percorrere cercando pepite, stavolta, continuando ostinatamente e con coraggio ad ardere tutti gli arbusti rinsecchiti. 

    @lucaserafini4

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