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  • Milano soffre:| San Siro diventa San Zero

    Milano soffre:| San Siro diventa San Zero

    Le milanesi senza gol abbattono l'autostima? Fino alla prima vittoria (speriamo).
    San Siro diventa San Zero. La città soffre.
    Incredibile! Inter e Milan non vincono in casa da ben sette partite. Disastroso! Domenica hanno perso malamente contro due formazioni minori bianconere, permettendo a una terza di prendere il volo in classifica. Tragico! L'autostima di Milano è scesa sotto i tacchi (e le strade sono bagnate). Capite perché il calcio, nonostante schifezze & scommesse, funziona? Perché fornisce infinite occasioni di discussione e dibattito, analisi e ambizione, rimorso e rimpianto (Eto'o! Ibra!), pentimento e riscossa (speriamo).

     
    L'assenza di vittorie diventa uno psicodramma metropolitano formato famiglia, qualcosa di cui parlare mentre fuori piove, e fa buio presto.
     
    Consideriamo l'alternativa: discutere del fiero pasto consumato da tanti pubblici amministratori, bravi a tagliare i servizi e a servirsi delle note spese. Meglio analizzare le passeggiatine di Alvarez e i saltelli di Abbiati: almeno mettono di buon umore (i tifosi dell'altra squadra).
     
    Davanti all'improvvisa goffaggine calcistica, Milano scuota la testa collettiva: un modo per guardare di qua e di là, evitando di fissare troppo a lungo la realtà politica ed economica. È questa, ripeto, la forza del calcio. Non più un'arma di distrazione di massa, ma un modesto psicofarmaco, di quelli che provocano, a rotazione, euforia e malinconia. In questo momento siamo nella seconda fase del ciclo.
     
    Milano è meno emotiva di Roma o Napoli; è sportivamente civile (interisti e milanisti si sfottono, non si odiano); ed è calcisticamente viziata, considerati gli scudetti e le coppe arrivate in città. Periodi come questo sono una novità e generano interesse. È come se, nella Settimana della Moda, le modelle assumessero un'espressione gioiosa: la cosa non passerebbe inosservata.
     
    Le vacche magre hanno un loro fascino. Servono a commuoversi, a preoccuparsi, a sperare. Il calcio è un distributore automatico di palingenesi: basta mettere la moneta. Commozione, preoccupazione e speranza sono sentimenti, e non dispiacciono a una città che d'abitudine nasconde le proprie emozioni. Certo, a Milano vorremmo vincere. Ma l'accidia autunnale ha un suo fascino, come la prima nebbia e i funghi.
     
    Milano colpita nella sua identità primaria? Ma no: resta una grande M City del calcio, come Manchester, Madrid, Monaco di Baviera. Ho conosciuto l'architetto Libeskind, avrei dovuto dirglielo: nella nostra City Life, il pallone non mancherà mai.
     
    «For San Siro, read San Zero».
    Per San Siro, leggi San Zero. Gli inglesi ( The Guardian ) fanno gli spiritosi, e notano come le due squadre milanesi non hanno vinto alcuna delle partite giocate in casa quest'anno. Colpa del nuovo terreno sintetico? Il problema è di piedi, non di erba. Colpa dei dirigenti? Certo sarebbe stato meglio vendere Pato e tenere Ibra e Thiago, ma al cuore non si comanda (alla padroncina, nemmeno).
     
    Colpa degli allenatori, allora? Non lamentiamoci: a Milano abbiamo visto ben di peggio. Stramaccioni e Allegri sono bravi e seri, anche se non hanno il carisma sulfureo di Mourinho: in una fiction Rai potrebbero ambire, al massimo, al ruolo di vice-commissario. Ma il tempio di San Siro dona anche a loro un'aura fascinosa. Sembrano personaggi di Omero in lotta col destino (travestito da Vergassola, è il colmo).
     
    Come uscirà, Milano, dal dramma del secolo per la settimana in corso? Con la prima vittoria, ovviamente. Dovesse tardare, ci inventeremo qualcosa. Una soluzione, pratica e milanese, potrebbe essere questa: l'ingaggio dei giocatori, a partire dal 31 ottobre (Giornata Mondiale del Risparmio), verrà considerato lordo, non più netto. Sarà un piacere vederli correre, quel giorno. See how they run! cantavano i Beatles.
     
    Pensandoci: Lady Madonna l'abbiamo anche a Milano. Tutta d'oro e piccolina, brilla da lontano. È bella, protettiva e saggia. Non dice mai da che parte sta, neppure quando glielo domanda San Siro.
     


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