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  • Mio padre, dalla Juventus al lager

    Mio padre, dalla Juventus al lager

    • Marco Bernardini
    Aveva ventun anni e faceva gol direttamente dalla bandierina del calcio d’angolo. Si chiamava Giuseppe. Per tutti Pino. Suo padre, Italo, aveva corso in bicicletta con Sante Girardengo. Aveva anche vinto una tappa, da Firenze a Viareggio. La moglie, Virginia, era andata ad aspettarlo al traguardo per saltargli al collo. “E tu che fai qui, a casa devi stare”, fu la reazione del girino. La spinse via e lei pianse. Evidentemente lui aveva la ganza nei paraggi. Il fratello di Pino, Sergio, frequentava il Motovelodromo di Torino. Mamma e papà lo  credevano a scuola, lui era ad allenarsi tutti i giorni. Fino a quando il preside non telefonò a casa.  “Ma che malattia ha vostro figlio. Da mesi non lo vediamo”. La bici finì in cantina e i sogni da pistard  tra le nuvole via con il vento. Poi c’era Adilia, detta Lilia. Il suo impegno quotidiano era quello di respingere le avances matrimoniali di un bel ragazzo che di cognome faceva Gerbi e che sarebbe diventato presidente del Torino. Ma lei amava Ezio, poeta e juventino sfegatato di Montecatini. Il cuore ebbe la meglio sul freddo ragionamento. Altre donne quelle di una volta. Intanto Pino continuava a fare gol dalla bandierina, con la maglia bianconera della seconda squadra. Giampiero Boniperti e Carletto Parola, già senatori titolari, lo avevano preso in simpatia e lo spingevano a darci dentro perché, dicevano, il ragazzino non è niente male e si farà. Dall’alto, insieme con le bombe crucche, piovevano presagi differenti.

    I big riuscirono a imboscarsi, in qualche modo. Pino, dall’oggi al domani, si trovò seduto  al bancone del marconista su un cacciatorpediniere della regia Marina italiana al largo delle isole greche. Colpita e affondata. Morti e prigionieri. Fu lungo e tribolato il viaggio che portò Pino e i suoi compagni in un lager della Polonia occupata dai nazi. Bucce di patate e pane secco a pranzo. Pane secco e bucce di patate per la cena. Tra un “pasto” e l’altro, tutti a scavare fossati che non si capiva a cosa potessero servire piegati sotto la neve che cadeva spessa silenziosa. E meno male che nevicava. Altrimenti il termometro andava a dieci sotto zero e nelle baracche dormitorio sembrava di stare in una cella frigo. Non era un lager durissimo, comunque, rispetto ad altri mattatoi tedeschi. Il feldmaresciallo SS consentiva qualche momento di svago. E Pino organizzava partite di pallone. Giocatori magri come chiodi che parevano fantasmi. Meglio di niente, però.

    Riuscirono a scappare in tre, una notte. La disperazione centuplica le forze e ti permette di forzare il filo spinato con le mani e con i denti. All’alba si separarono, per prudenza augurandosi buona fortuna. Pino, forse, dei tre fu il più benedetto dalla sorte. Nel fienile di una fattoria spersa nel nulla di una piana polacca lo trovò la contadina. Era giovane, con i pomelli delle guance rosse e gli occhi pieni di tristezza nel ricordo del marito ucciso a pistolettate. Di lui le rimaneva un cucciolo di un anno. Da un inverno all’altro e poi fino alla primavera successiva. Pino era diventato l’uomo di casa. Aveva smesso di mangiare bucce di patate. Ora le coltivava. Poi,  niente più bombe dal cielo. La guerra è finita e anche il pianeta Terra trattiene il respiro in quel silenzio apocalittico del “dopo”. Pino ha Torino nel cuore. Un viaggio che pare finire mai da un treno merci all’altro. Italo e Virginia sentono suonare il campanello di casa e aprono la porta. Faticano a riconoscere il loro figlio, pelle e ossa che nuotano in quegli stracci da clochard. Poi sarà festa grande per la famiglia ritrovata per intero.
    La Juve è già una grande Juve. Boniperti e Parola sono lo zoccolo duro di una squadra che soltanto il Grande Toro riesce a battere. Pino, nel lager, ha lasciato le residue energie fisiche e mentali. Occorre lavorare per vivere. Eppoi, forse, manco riesce più a far gol dalla bandierina. Giocherà la domenica in una squadretta di paese, l’Orbassano. Nessuno gli crede quando racconta una strana storia di grande amore e speranza tra lui e la Juventus. Qualcuno dice a bassa vice che è matto perché il  lager gli ha fatto male alla testa. Pino potrebbe mostrare la fotografia con lui in mezzo a Giampiero e Carletto. Non lo fa. Il sogno è un mucchietto di cocci nell’angolo della memoria.

    Dedicato a mio padre
    nel giorno della memoria.

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