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  • Moratti 'Papà, Herrera e quella volta...'

    Moratti 'Papà, Herrera e quella volta...'

     

    A 50 anni dall'esordio di Helenio Herrera sulla panchina dell'Inter, 7 Gold dedica al 'Mago' una prima serata tv esclusiva. Con la conduzione di Giancarlo Padovan, in studio, oltre a giornalisti sportivi e opinionisti della rete, ci saranno anche Sandro Mazzola e Luisito Suarez, protagonisti della Grande Inter, la signora Fiora Gandolfi, per oltre venti anni moglie di Herrera, e il direttore artistico del Museo di San Siro Onorato Arisi. Per l'occasione, anche il presidente Massimo Moratti ha voluto raccontare gli anni dall'avventura-Herrera in un'intervista esclusiva realizzata dallo stesso Giancarlo Padovan nella giornata di oggi e che verrà trasmessa durante il corso della trasmissione.


    Presidente, quando arriva Herrera, Massimo Moratti ha più o meno 15 anni. La storia racconta che, a contattare il tecnico, fu un corrispondente de "La Gazzetta dello Sport" in Spagna che si chiamava Giorgi...
    "Fu esattamente così. Ce lo segnalò lui e fu lui stesso a contattarlo. A quel tempo, forse, c'era minor comunicazione di adesso, intendo a livello mediatico, e quindi i personaggi erano sempre circondati dal fascino dettato dal fatto che non li si conosceva mai veramente, quindi erano molto più bravi o molto peggiori di quello che si diceva. Herrera aveva la fama di essere molto bravo e di avere un carattere speciale, poi col Barcellona arrivò alla finale di una Coppa delle Coppe e quindi lo prendemmo proprio perchè, come si diceva in casa, si trattava di un personaggio fuori dal mazzo a livello di comunicazione, nel modo di agire, di fare, nel tipo di professionalità, nella velocità del gioco. Il contatto fu tenuto in questo modo attraverso il corrispondente de 'La Gazzetta' che, devo ammettere, ci fece un bel favore: Herrera cambiò la storia dell'Inter".

    Oltre a cambiare la storia dell'Inter, Helenio Herrera cambiò anche la storia del calcio in Italia, rivalutando la figura dell'allenatore, innovando le metodologie di allenamento; ma l'Herrera privato, quello che Moratti ha conosciuto, come era veramente?
    "Non era molto diverso da quello pubblico, il carattere era quello. Quello con mio padre era un rapporto di grandissimo rispetto e di grandissima stima. Non dico che Herrera avesse paura, ma lo stimava molto. Papà non era certo un tipo che incuteva timore volontariamente, anzi aveva un modo molto umano di approcciare le cose, però aveva il modo giusto di rapportarsi con Herrera e quindi l'allenatore teneva la sua posizione, con la sua giusta responsabilità, sapendo di essere protetto, ma consapevole anche di dover molto al presidente. Era quindi un rapporto intelligente che poi diventa inevitabilmente, anche se nessuno lo ammette, un rapporto anche umano o d'affetto perchè si vive insieme o si soffre insieme. Ricordo un paio di episodi nei quali Herrera era in casa nostra durante dei momenti pesanti. Mio padre aveva la bella abitudine di non dire 'parlo io', ma i figli di qualsiasi età fossero erano presenti e partecipi. Era una forma bellissima di partecipazione e ricordo un momento nel quale mio padre era abbastanza deciso, e anche pratico nelle cose, per cui spesso finiva con il dire: 'Bene, domenica giocano questo, questo e questo giocatore'. E poi giocavano proprio loro... Ci andava bene che si vinceva, ma Herrera di questo non ha mai fatto, come vedo adesso, una sorta di ferita nell'orgoglio, anzi capiva che quello era il momento nel quale il presidente interveniva e si assumeva la responsabilità di intervenire per aiutare l'allenatore. Bastava non dirlo in giro, questa era la cosa principale, e salvare quindi la dignità dell'allenatore davanti ai giocatori. Herrera queste cose le accettava, con intelligenza, e poi le sapeva sfruttare a suo favore. Ecco, il tipo di rapporto tra mio padre ed Herrera era di questo tipo, ma anche di grande generosità da parte di mio padre nei confronti dell'allenatore e di grande dedizione sincera da parte di Herrera nei nostri confronti".

    A quel tempo ci si dava del Lei...
    "Esattamente".

    Era solo una questione di tempi o derivava anche da quel tipo di rapporto di soggezione che aveva Herrera nei confronti di suo padre?
    "Anch'io uso il 'lei' con gli allenatori. Credo si tratti di una forma di rispetto, non di formalità. Deriva dal fatto che hai a che fare con dei professionisti e mi viene naturale, mentre non mi riesce di approcciarmi nello stesso modo con i calciatori, che vedo come dei ragazzi, anche se qualcuno tra di loro quasi il 'lei'lo ispira. Magari si sentono poco rispettati, ma non credo. Con gli allenatori invece non mi viene di dare del 'tu'; l'unico con cui lo usavo era Mancini, ma credo che questo sia collegato al fatto che anche lui era un calciatore prima di diventare allenatore. Con certe persone, mantenendo la stessa umanità, lo stesso dialogo, lo stesso affetto, usi il 'tu', ma è un 'lei' e così va avanti tutta la vita".

    Dopo il primo anno della gestione Herrera, il Mago trova una convergenza sulla decisione della cessione di Antonio Valentino Angelillo, il calciatore che giovanissimo aveva stabilito già il record di reti realizzate. Come papà Angelo si fece convincere?

    "Un presidente si lascia convincere quando una certa cosa la pensa già in autonomia... ".

    Quindi era già propenso?
    "In questo senso, no; noi eravamo molto affezionati ad Angelillo perchè quando arrivò, e nell'anno in cui realizzò tutti quei gol, era in assoluto il giocatore più forte del mondo. Ci si aspettava crescesse ancora di più, invece ebbe un calo. Per la velocità e il tipo di gioco di Herrera, forse Angelillo poteva rappresentare un ostacolo perchè voleva Suarez. Angelillo, se fosse rimasto, avrebbe vinto insieme agli altri tutto quello che poi abbiamo vinto, perchè era un giocatore di grandissima qualità, ma anche allora pesavano le questioni economiche. Andavamo a comprare un giocatore (ndr.: Suarez) che costava 250 milioni e Angelillo lo vendemmo per 248. Quindi, fu anche un'operazione dettata da ragioni economiche, ma anche dal fatto che era difficile tenere un giocatore che l'allenatore vede male: in questi casi rischi di creare una sofferenza al giocatore e fai un dispetto al tuo allenatore".

    Però papà Angelo non pensò mai, ad esempio, di vendere Mario Corso. La leggenda dice che quasi ogni anno, Herrera chiedesse al presidente la cessione del giocatore. Che invece poi restava in squadra. Inoltre l'allenatore diceva a Mariolino che lo volevano cedere, ma che il presidente era riuscito a trattenerlo..
    "Questo è verissimo (ndr.: sorride), ma la realtà è che non ce lo chiedeva nessuno, non lo facevano perchè sapevano che, in quel momento, lui e Suarez erano l'espressione del gioco dell'Inter. Erano una coppia incredibile, si trovavano a occhi chiusi. Poi, Corso è stato per me il più grande calciatore italiano, quindi proprio non ci veniva in mente di cederlo. Ma la risposta di papà era sempre 'nessuno ce lo ha richiesto...' ".

    Il Mago diceva delle bugie anche a suo padre?
    "E chi lo sa, ma il fatto che lui dicesse delle bugie faceva parte della sua forte personalità e coreografia, ma non ci ricordiamo di tradimenti di questo tipo".

    Herrera vince dopo tre anni; c'è mai stata - in questo cerchio di tempo - una perplessità nella scelta?
    "In quel tempo avevamo perso uno scudetto con la Juventus di allora, che portava dentro le stesse polemiche di adesso (ndr.: sorride), ma quello è da considerare come un campionato semi vinto, quindi aveva fatto bene. C'era una certa fazione critica che candidava un altro allenatore, che era Edmondo Fabbri. Ricordo che papà era abilissimo nella gestione di questa situazione: dava ragione a tutti, teneva buoni tutti, diceva che Fabbri era bravissimo e intanto Herrera rimaneva tranquillamente lì e poi ha vinto tutto".

    In un anno e mezzo Herrera vince tutto quello che c'è da vincere in Europa e nel mondo. Sono solo i successi a cambiare la storia dell'Inter o anche la percezione di quest'uomo per come amplifica la grandezza della società?
    "Immagino tutte e due le cose, perchè i successi arrivano senza dubbio anche grazie a lui, che aveva realmente cambiato il tipo di gioco: con tre passaggi si arrivava in porta. Herrara ha il grande merito di aver realmente portato una differenza di velocità, quindi credo che le due cose si complementano: fu merito di Herrera aver portato quel tipo di gioco. Mourinho, in questo, ricorda un po' Herrera perchè si tratta di personaggi che hanno una tale esclusività nel loro modo di agire all'interno della loro professionalità: non è possibile scindere quella che è la parte professionale e tecnica da quella del carattere, che allo stesso tempo aiuta nella loro professione. Quindi tutte le cose sono servite per rendere famosa l'Inter. Certo è che le vittorie lo fanno più concretamente perchè fu senza dubbio eccezionale vincere per due volte di seguito la Coppa dei Campioni e essere, allo stesso tempo, protagonisti in campionato sempre. Herrera non mollava niente e quello che a me recentemente andava bene, sia Mancini che con Mourinho, era proprio quest'idea di puntare a tutto, ma non solo teoricamente, bensì assolutamente: una cosa aiuta l'altra e bisogna essere costantemente protagonisti. Ti può non riuscire, ma non puoi decidere di rinunciarvi in partenza. Questa strategia completa fa sì che la squadra sviluppi un grande carattere".

    L'accostamento Herrera-Mourinho è quasi obbligatorio, ma c'è qualcosa nella quale i due differiscono: l'argentino si lega quasi indissolubilmente ad Angelo Moratti, il portoghese sembra che lo faccia e invece sul più bello sceglie un'altra strada. È solo questa la differenza? E se sì, è una sofferenza che ha fatto soffrire Massimo Moratti?
    "Credo che innanzitutto sia cambiato il calcio, nel senso che una volta era difficile che un'altra squadra venisse a chiedere il tuo allenatore. Attualmente, invece, l'allenatore è entrato nel mercato. Nei confronti di Mourinho, malgrado tutto, io sento comunque una forma d'affetto e di legame, che lui si è creato con l'Inter. Ho visto il suo tradimento come quello di un marito che tradisce la moglie, ma che in fondo le vuol bene, non saprei come dirlo meglio... È il marito che scappa dalla finestra perchè non ha il coraggio di confessare di avere un'altra avventura. Me l'aspettavo, vedevo che qualsiasi fosse il risultato del secondo anno sarebbe andata così: se fosse andata male, non avrebbe potuto più insistere; se fosse andata benissimo, conveniva a lui cambiare. Ma, nonostante questo, non riesco a vederlo come un tradimento. Certo, è diverso dal fatto che in quegli anni, Herrera andò via quando mio padre diede le dimissioni da presidente e papà non voleva mandarlo via per nessuna ragione, tant'è che diceva 'piuttosto vado via io', anche se Herrera era già in un momento di calo. Quindi, sì, i due sono simili in tante cose, ma per me questa differenza è più dovuta all'esterno, cioè a un mondo totalmente cambiato, mentre i due personaggi che hanno davvero tanto in comune. La professionalità soprattutto: Herrera era fantastico perchè lavorava tantissimo con capacità e genialità e la stessa cosa faceva Mourinho".

    L'atteggiamento di Herrera negli spogliatoi, il fatto che attaccasse cartelli, all'epoca facevano sorridere qualcuno. Come erano percepiti invece dalla famiglia Moratti?
    "Bene, come d'altronde abbiamo percepito quelli di Mourinho più recentemente. Era tutto utile, faceva bene ed è comunque qualcosa che si fa abbastanza sinceramente: si tratta di qualcosa studiato, ma lo fanno per metterci dentro il loro carattere, per far sentire al gruppo certe cose, perchè pensano che sia necessario per proteggerlo e in questo senso una spinta notevole poi arriva. D'altronde gesti simili significano dire 'io sono sempre con voi, penso per voi, vi proteggo' e questo il giocatore lo sente molto. Mourinho era inoltre molto professionale nello spogliatoio prima delle partite e lo stesso faceva Herrera. Quando una partita era una partita che stava andando male o che si stava giocando in 10 o in 9 contro undici, ci si poteva aspettare che entrambi facessero discorsi della bandiera, invece li evitavano totalmente e parlavano soltanto professionalmente e tatticamente di quello che doveva essere fatto in campo, senza entrare emotivamente in nessuna delle situazioni che avevano provato il fatto, ovvero essere in inferiorità numerica o aver giocato male. È li che si vede la grande professionalità di questi due personaggi che sapevano prendere la situazione concretamente e intelligentemente".

    Quindi, Massimo Moratti all'epoca qualche puntata negli spogliatoi la faceva...

    "Ripeto, mio padre ci lasciava vivere tutto in diretta. Non c'era nessun tipo di snobbismo verso noi figli. Era troppo intelligente per avere un atteggiamento del genere, ci faceva partecipare tranquillamente e vivere questo tipo di situazioni. Noi eravamo appasionatissimi, legati al papà soprattutto e quindi inevitabilmente all'Inter".

    C'è stato un momento nel quale anche ha incontrato Mourinho e ha avuto nei suoi confronti un 'richiamo' forte? Si narra di un post partita di Manchester United-Inter durante il quale il presidente ebbe qualcosa da dire...
    ".... Allegro non potevo esserlo... ".

    Sbottò?

    "Sì, ma qualche volta è anche concesso. Ma devo dire che il dialogo con Mourinho era tale per cui in pochissimi minuti capiva al volo la situazione e recepiva quello che volevo comunicargli. Non l'ho mai visto come un testone fare il contrario di quello che la situazione poteva suggerire, mentre c'è qualche allenatore che lo è stato. Lui la vedeva come una collaborazione, quindi non ho mai neanche voluto forzare certe cose. Può capitare certamente che, in alcune situazioni, a me sia capitato con altri allenatori di dover invece mettere un freno".


    Con Mourinho non gli mai capitato?
    "No, siamo andati vicini, ma non ce n'è mai stato bisogno, a parte il discorso di Manchester... ".

    Il finale del rapporto Herrera-Moratti è amaro, ma molto leale: suo padre cede la società e lui va via, ma c'è prima un'amarezza tremenda della tripletta sfumata. È in quel momento che ha avuto inizio il viale del tramonto di HH?
    "Ricordo che proprio in quei momenti mio padre diceva di non poterlo mandare via, piuttosto si sentiva lui di aver ormai fatto il suo tempo. Ci diceva 'io ho fatto il mio tempo, basta, nel calcio noi siamo già troppo visti'. Infatti, durante l'ultimo anno, pur essenso formalmente ancora lui il presidente dell'Inter, aveva già passato la gestione a Fraizzoli, che divenne l'anno successivo il presidente effettivo. Herrera si era trovato quindi a vivere quell'anno un po' con noi, che eravamo effettivamente i proprietari, ma con Fraizzoli che era concretamente entrato nella gestione della società e dei rapporti con l'allenatore e i giocatori. Quell'anno lì ha avuto il suo significato, ma è chiaro che se prendi tre mazzate così non ce la fai più e pensi anche che il tuo tempo sia passato. Poi, se è vero o no, o se fosse giusto o no tirarsi indietro, però tutti e due hanno pensato nella stessa maniera. Herrera con papà aveva vissuto un rapporto talmente bello e importante che sarebbe stato difficile poi crearne un altro simile".

    Il figlio di Angelo Moratti soffrì quando il papà decise di dire basta con l'Inter?
    "Papà sapeva trasmetterci i sentimenti in maniera tale che anche noi li ritenevamo assolutamente giusti. Avevamo vissuto intensamente tutti quegli anni, forse sarebbe giusto anche adesso far così, è che a me adesso le vittorie stanno arrivando con un po' di ritardo... Ciò non toglie che guardandomi in tv penso che se mi stufo io, figuriamoci gli altri, ma sono la passione e il senso del dovere nei confronti di questa società a farmi mantenere in piedi".

    Si può dire che Herrera è stato il tecnico più amato dalla famiglia Moratti?
    "Sì, il più stimato senza dubbio e certamente amato perchè quando un allenatore porta determinati risultati ti permette di gioire. Ma poi siamo rimasti amici anche dopo, una volta andammo a trovarlo a Roma quando allenava la squadra giallorossa e disse a mio padre di andare lì a fare il presidente perchè bastava vincere due partite all'anno, tra cui il derby, e battere l'Inter che si diventa dei fenomeni. Però, avevamo capito che era cambiato, adattandosi a un mondo che chiedeva un po' di meno perchè in quell'epoca la Roma aveva meno ambizioni di adesso. La vita, purtroppo, poi ti mette davanti a talmente tante esperienze che inevitabilmente anche il carattere cambia".

    Ha mai cercato un altro Herrera?
    "L'ho cercato e l'ho trovato in Mourinho. Ma è qualcosa che capita per caso perchè, ad esempio, io ho scoperto Mourinho in un'intervista che avevo visto casualmente in tv e che mi colpì molto. Dopo una semifinale di Champions League, era talemente sfrontato che mi era piaciuto tantissimo e avevo pensato che avrebbe fatto diventare matti tutti i giocatori. Era veramente sfrontato: aveva pareggiato in casa, doveva andare a giocare l'altra partita in trasferta, gli fecero una domanda sulla seconda partita di semifinale e lui replicò 'ma no, è della finale che dobbiamo parlare'. L'avevo trovato spettacolare da questo punto di vista e da allora ho pensato che potesse somigliare ad Herrera. Poi, ha anche dimostrato professionalmente di esserlo. In tutto questo, però, lui ha determinate caratteristiche, ma non è detto che sia un allenatore più valido di un altro. Lui era così e questa sua personalità lo ha reso più simile di altri a Helenio Herrera".


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