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  • Napoli milionaria ma Apple fa sul serio

    Napoli milionaria ma Apple fa sul serio

    • Marco Bernardini
    L’augurio, di cuore, è che non si tratti dell’ennesima illusione. Tim Cook, il capo della potentissima Apple, è stato chiaro: “Abbiamo deciso di sbarcare definitivamente in Europa e il luogo che abbiamo scelto per fondare il primo e grande stabilimento di ricerca, di studio e di formazione è la città di Napoli. Con noi una delle più belle città del mondo entrerà nel futuro e verrà tracciatra una nuova linea tra Nord e Sud dell’Italia”.  Parole pesanti come pietra. Dunque i “miracoli” non dovrebbero essere più soltanto patrimonio di Milano, come nel film di Zavattini e De Sica. E la Napoli “milionaria” smetterebbe così di essere solamente quella scritta e descritta, con malinconica ironia, da Eduardo De Filippo nella sua prima commedia epocale. E ancora chissà se Pino Daniele, da lassù, se la sentirà di ispirare qualche suo allievo per aggiungere una strofa alla bellissima canzone di disperato amore “Napule è”. La svolta dovrebbe essere dietro l’angolo, insomma, se gli uomini della Silycon Valley californiana faranno sul serio e manterranno fede alla filosofia del fondatore Steve Jobs, unico e geniale rivoluzionario contemporaneo sempre con un occhio di riguardo alla crescita sociale e culturale dell’umanità.

    Napoli è stata anche la mia città, negli anni Ottanta. La presenza di Maradona e la permanenza della squadra di Ferlaino nel Ghota del calcio europeo pretendevano, per “Tuttosport” dove lavoravo, una presenza quasi fissa sul posto. Amarla e detestarla, allo stesso tempo, era fatale. Contraddittoria come i suoi abitanti. Capace di offrirti il cuore senza pretendere nulla in cambio e poi, subito dopo, malandrina non per vocazione ma per necessità e quindi da perdonare. Bellissima e puzzolente insieme. Masochista al punto da farsi tanto male da sola. Piegata in due, non  per ossequio ma per terrore, a fronte di una camorra peggiore della peste che si era infiltrata nelle vene principali di un corpo il quale un tempo era stato non solo sano ma sanissimo. La Napoli che non c’era più. Quella che, dai Borbone a Federico secondo, poco ci mancava fosse caput mundi per le sue eccellenze nella medicina, nella filosofia, nell’arte barocca, nella scienza e anche nella tecnologia con la messa in opera della prima rete ferroviaria della storia italiana. Allora, cioè nel periodo in cui la vissi quotidianamente, era sempre più la città che faceva stare molto male i napoletani illustri e migrati proprio come Eduardo e Totò forzatamente “romani” e straziati nel pensarla ridotta a stracci e schernita dai luoghi comuni di pizza, mandolino e voglia di far niente. Che poi non era vero. Lo stereotipo del napoletano sfaticato e imbroglione  è una calunnia. Il mio amico Saviano ha saputo  illustrare in maniera perfetta i motivi di un “immobillismo” provocato ad arte dal potere malavitoso e dalla politica schiavizzata. Lo stadio San Paolo era l’isola del tesoro, la grande illusione, il miracolo in terra. Pane e Maradona. E in assenza del primo ci si faceva bastare Diego.

    Ora c‘è un altro argentino che sta filando, sul telaio dell’immaginario  collettivo, un nuovo sogno accostabile (forse addirittura sovrapponibile) a quello intessuto dal “Pibe” e dalla sua avventura napoletana. Si chiama Higuain, detto “El Pipita”, e con lui la squadra vola. Ma se Napule è…anche il Napoli non è soltanto quello. Non più. Accà nusciuno è fesso. Basta con “hic sunt leones” della domenica, pupazzari in bianco e cappello di panama, donne in nero nei bassi risso sangue, terra dei fuochi e miseria controllata. Tanto, poi, c’è Higuain con il suoi gol scacciapensieri. Brusca e salutare sterzata alla barra del timone. I californiani di Cupertino daranno una mano e ai seicento posti di lavorio previsti nel futuro prossimo al “Apple Village” andranno ad aggiungersi i valori stabiliti da una nuova eccellenza tutta napoletana che farà parlare il mondo con le voci delle app. Ciò che non ha voluta fare la Fiat di Marchionne, proverà a realizzarlo lo straniero, come ai tempi dei Borboni o del Barbarossa. Forse, sta passando ‘a nuttata.

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