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  • Non perde Gattuso, ma i suoi giocatori: Buffon, un addio da vero capitano

    Non perde Gattuso, ma i suoi giocatori: Buffon, un addio da vero capitano

    • Giancarlo Padovan
    L’ha vinta Benatia (due gol), l’ha persa Donnarumma (due errori esiziali). La Coppa Italia va alla Juve per la tredicesima volta, la quarta consecutiva, come l’accoppiata scudetto-coppa nazionale. Un altro record, un altro trofeo. Dopo la sconfitta interna con il Napoli, in campionato, come aveva pensato Buffon che l’ha confessato alla vigilia della finale, scrissi che la Juve avrebbe chiuso senza titoli. Invece sono stato smentito se non da una grande squadra (può giocare meglio e, soprattutto, farlo con continuità su ogni palcoscenico), da grandi giocatori e un allenatore che, ben lontano dall’essere geniale - si è visto anche contro il Milan e più avanti spiegherò perché -, li sa gestire con autorevolezza e credibilità (questa volta Higuain in campo solo negli ultimi dieci minuti).

    Se Donnarumma ha fatto due papere costate il secondo e il terzo gol, Buffon è stato invece impeccabile per come ha parato nel primo tempo (su Cutrone dopo 8 minuti, su Suso al 30’), ma soprattutto per essere riuscito a mantenere la porta inviolata quando il risultato era largamente acquisito (78’: 4-0) e ha sfoderato una doppia parata, la prima su conclusione a botta sicura di Locatelli. Buffon ha quarant’anni e una storia straordinaria da chiudere al meglio, dopo la notte di Madrid, le sue parole infuocate spese con troppa adrenalina in corpo, la probabile squalifica che l’Uefa gli infliggerà, le polemiche, assai strumentali, sul ritorno in Nazionale con Di Biagio. Penso che l’addio ci sarà, ma non una partita ad hoc che lo sancisca. Buffon cerca un finale degno ben sapendo che il giudice supremo è il campo, dove potrebbe ancora stare. Ci sono solo due partite di un campionato già vinto e una Coppa Italia da alzare con orgoglio (è il ventiquattresimo trofeo). Però, al momento della premiazione, Buffon si è fatto da parte e l’ha lasciata nelle mani di Marchisio, un altro pezzo di storia di questa Juve. Marchisio non abbandonerà il calcio, ma andrà altrove, probabilmente negli Stati Uniti, perché quest’anno ha giocato poco. Il gesto di Buffon, da vero capitano, si è posto al di fuori del cerimoniale e delle previsioni più romantiche.

    Il Milan non è forte come la Juve, ma quattro gol al passivo sono tanti, troppi. Il primo tempo ha detto che il Milan poteva mettere in difficoltà una Juve che andava al passo, se solo avesse osato di più dalla parte di Cuadrado dove agiva Calhanoglu. Molti gli errori degli juventini con Matuidi, Khedira, Mandzukic e Dybala tra i meno ispirati. Per questo e molto altro sembrava una finale aperta se non proprio equilibrata. Ma la ripresa si è incaricata di cambiare toni, registri e, soprattutto, ha cantato un solo coro.

    E’ vero che la Juve ha segnato tre gol da calcio d’angolo (non le succede quasi mai) e uno con un tiro da fuori area. Ma prima Dybala e poi Douglas Costa avevano seminato il panico. Allegri ci ha messo un tempo per capire che il brasiliano avrebbe prodotto danni al Milan se avesse attaccato da destra, cioé incrociando Rodriguez, e non a sinistra, dove Calabria l’aveva contenuto benissimo. A Dybala bastava chiedere di giocare più vicino alla porta: avrebbe dovuto fare la punta, come ha fatto nella ripresa, non il trequartista. Dopo due significative deviazioni di Donnarumma (in questo caso bravissimo) ad altrettante conclusioni di Dybala (51’ e 54’), la Juve ha risolto tutto nel giro di quattro minuti. Testata vincente di Benatia da angolo di Pjanic (56’). Tiro da lontano di Douglas Costa (61’) con grave errore di Donnarumma che tenta la presa su un pallone viscido. Zampata ancora di Benatia (64’), dopo colpo di testa di Mandzukic, non trattenuto da Donnarumma. Anche in questo caso l’azione discendeva da un calcio d’angolo di Pjanic. Il quale (75’) ha sentito più suo il corner che Kalinic, entrato per Cutrone, ha trasformato in autorete con una beffarda traiettoria nella propria porta.

    Il Milan avrebbe meritato almeno un gol (autopalo di Matuidi), ma non sarebbe cambiato nulla. La sconfitta brucia, oltre che per il punteggio, perché toglie ai rossoneri la certezza dell’Europa League senza preliminari, perché affligge la squadra in un momento decisivo dello sprint in campionato, perché costringe la società a rinunciare ad una bella fetta di guadagni che il successo avrebbe garantito. Ma Gattuso ha fatto quel che ha potuto. Ha annullato la Juve per 50 minuti. Per andare oltre non serve un allenatore più bravo di lui, ma calciatori che il Milan ancora non ha.

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