C'è crisi. I tempi di vacche grasse sono finiti. Lontani quegli assegni da sogno, quando club esteri - tedeschi e scozzesi - offrivano bei milioncini per Armin Bacinovic. Zamparini rifiutava, chissà, magari anche indispettito, perché valutava lo sloveno molto di più. Giustamente, sulla scorta di una stagione disputata ad alti livelli, sotto l'egida di Rossi che lo ha schiaffato in campo in un Palermo-Inter quando il numero 21, fino a pochi giorni prima, scorrazzava nel modesto campionato sloveno. 'Bacio', come lo chiamavano i suoi ormai ex compagni, era stato una delle sorprese della serie A, che gli ha regalato degli allori su cui Armin si è adagiato troppo presto.

In estate l'inizio dell'involuzione che non ti aspetti. In ritiro sovrappeso, mai in sintonia con Pioli, e nemmeno con Mangia è stato colpo di fulmine. Dopo tanto turn-over, ma solo tra panchina e tribuna, Bacinovic ebbe di nuovo un'occasione, contro il Lecce, che sfruttò discretamente. In Palermo-Cesena il fattaccio: Mangia lo sostituisce dopo mezz'ora e lo sloveno esce imbufalito. Per il sergente di ferro Devis uno sgarro imperdonabile, giacché per lui il gruppo veniva sempre prima e i capricci erano roba da untori. Il feeling con l'ambiente si è lentamente scolorito, l'armonia nello spogliatoio si è nascosta sotto le mattonelle e il Palermo ha deciso di darlo via.

Una decisione quasi fisiologica: Bacinovic è soltanto il lontano parente del centrocampista con l'argento vivo addosso per cui strabuzzavamo gli occhi fino a qualche mese fa. Col senno di poi, ci si rammarica per la mancata cessione in estate. Ma col senno di poi non si costruiscono castelli. O forse sì, ma soltanto in aria. Adesso sta al lunatico Armin riscoprire se stesso, in un campionato dove uno come lui può e deve fare la differenza. Con in tasca un biglietto di ritorno nel calcio che gli si addice. Perché Bacinovic non sarà un fenomeno, ma nemmeno il fantasma bizzoso di adesso.