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  • Paolo Villaggio, io e una farinata nel mondo di soli Fantozzi
Paolo Villaggio, io e una farinata nel mondo di soli Fantozzi

Paolo Villaggio, io e una farinata nel mondo di soli Fantozzi

  • Marco Bernardini
Non amo il referenzialismo. Giornalisticamente è sintomo di grave presunzione. Oggi non posso evitarlo. Con modestia, però. Per semplice gusto di cronaca. Per omaggio, sincero, a un filosofo moderno travestito da clown che se ne è andato dopo aver tanto vissuto e dopo aver fatto il giusto casino su questa terra per tentare di svegliare le coscienze di un popolo per il quale il suo genio di artista e letterato aveva creato dal nulla il simbolo perfetto: il ragionier Ugo Fantozzi. 

Della scomparsa di Paolo Villaggio in queste ore si sta occupando il mondo in maniera differente e partecipata. Ho una piccola storia da raccontare. Una storia che fa capo alle sue ultime quattro partecipazioni sul palco di un teatro dove recitò se stesso e dove il pubblico ebbe modo di conoscere chi effettivamente c'era sempre stato dietro la maschera, buffa e tragica, dell'impiegato più sfigato del mondo. Soltanto per questa ragione mi metto di traverso, naturalmente come semplice comparsa. 

Il titolo di quello spettacolo a puntante era 'Pietrasantissima', in omaggio alla città della Versilia che aveva deciso di ospitare nel suo Teatro Comunale il lavoro che avevo scritto con la collaborazione di Rosaria Panatta, la moglie del campione di tennis Adriano e prodotto da Marcucci patron dell'Enoteca. Una sorta di talk a tema, cinema e sport e spettacolo e musica, animato da tutta una serie di personaggi celebri come Scamarcio, la Golino, l'oscar Quaron, Peppino di Capri, Paolo Rossi, Antognoni e tanti altri bei nomi. 

Paolo Villaggio era l'ospite fisso di quella serie che ebbe un clamoroso successo anche grazie alla sua presenza nei panni di grillo parlante e di rompiballe. Fin troppo successo. Tanto da provocare e solite velenose invidie di provincia e la sua cancellazione sai palinsesti a venire. Resterà comunque uno fra i migliori impegni professionali portati a termine nella mia carriera. Indimenticabile. Proprio come il ricordo che custodirò per sempre di Paolo e del suo 'villaggiopensiero'. 

Avevo già avuto modo di conoscerlo in alcune occasioni ufficiali. Ma non così a fondo come ebbi la fortuna di poter fare durante quei giorni pietrasantini trascorsi insieme contando i passi come due vecchietti lungo i vicoli e le stradine di un paese magico, seppure aggredito e guastato in parte dalla frenesia modaiola, parlando di mille cose e terminando il passeggio puntualmente seduti al tavolino di una modesta pizzeria, dove Paolo ordinava una farinata che qui chiamano cecina. Era la sua cena. Non stava ancora tanto male, ma neppure benissimo. Perlomeno si sforzava, con orgoglio, di apparire ben abile e arruolato. Però, con addosso un ampio 'kaftano' arabo a nascondere il fisico compromesso, per procedere nel passeggio era costretto a chiedermi se poteva appoggiarsi al mio braccio. Eravamo buffi per davvero. 

Giorni unici di insegnamento e di conoscenza. I suoi racconti di vita vera. Il fantasma di Fabrizio De Andrè a tenerci compagnia. Proprio insieme con il grande cantautore e poeta genovese Villaggio aveva inventato il personaggio di Fantozzi, sessantenni prima. Un giovane e già 'veggente' Maurizio Costanzo li aveva invitati entrambi a Roma Fabrizio aveva detto di no. Paolo aveva accettato. Venne al mondo la macchietta principe di tutti gli italiani. 

Ma lui, tra un boccone di farinata e un sorso di gassosa, mi diceva che quegli stessi italiani allora non erano così. Oggi lo erano diventati al punto che la figura eccezionale di quel personaggio ora sarebbe stata banale. "Un  Paese, il nostro, composto da un popolo di pecore capace di lamentarsi e di criticare senza poi fare nulla perché le cose possano cambiare. Tutti pronti a insultare politici falliti o disonesti come i nostri e mai nessuno che decida di ribellarsi e di spazzare via tutto definitivamente. Anche perché dopo cinque minuti di discussione seria, si alza la vice dell solito tizio a dire: sì, vabbè ma Totti… Addio, per ore e ore si parlerà soltanto di pallone. Siamo un popolo di tecnici calcistici e non di cittadini"
Era la sua riflessione più ricorrente e più dolente. Quella che spesso mi tornava in mente da quei giorni. E che ora rimbomba dentro come un tuono, nel giorno dell'addio a un grande uomo e filosofo travestito da clown. 

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