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  • Pernambuco: allenatori, altro che valzer!

    Pernambuco: allenatori, altro che valzer!

    Siamo sicuri che quello degli allenatori sia un valzer e non piuttosto una raspa? Che quest’anno  il ballo non sia dei più eleganti lo conferma il benservito della Fiorentina a Montella. Mai si era visto un linguaggio così duro, mai un esonero era stato così brutale, senza un’accenno ai tre anni di esperienza comune. Non un segno di ringraziamento, piuttosto  stizza padronale, senza un briciolo, appunto,  se non di diplomazia (a certi livelli ci vorrebbe), di riconoscenza. Lo stile, l’impeto, l’aggressività portano il marchio di Diego Della Valle, per altro non nuovo a lavate di capo irruente e biliose che durano lo spazio d’un mattino.

    La bella e sfortunata Fiorentina di Montella, con l’eterno convalescente Rossi e Cipresso Gomez eternamente piantato in area, ha espresso a tratti un calcio molto bello, forse il massimo che si potesse trarre da ciò che gli ambivalenti Della Valle gli avevano messo a disposizione. Ma la famiglia d’imprenditori marchigiani sembra non essersene mai accorta, sempre in bilico appunto fra un falso affetto (per la squadra) e un vero interesse (per la pecunia). Le finte deleghe a ragionieri al comando alla lunga non pagano, ma forse a Diego il calcio non interessa. E non  c’è nulla di male. Ciò che nuoce è l’impegno intermittente, senza deleghe vere o assunzioni del comando in prima persona, quasi da sovrano un po’ viziato, un po’ annoiato. I capi tiepidi, né caldi, né freddi (i tifosi se ne facciano una ragione) non sono i migliori.

    L’italica raspa continua con le scelte tutte autarchiche di De Laurentiis. Costretto a far buon viso a cattivo ( in tutti i sensi ) gioco, il presidente del Napoli ha optato per una scelta low profile tutta italiana e ha fatto bene. Prima di tutto abbassa le aspettative, ma rinnova, tenendo comunque vivo il sogno del riscatto, con due rivelazioni: Sarri e Giuntoli. Forze nuove e fresche che tenteranno il grande salto. Per entrambi l’incognita d’un palcoscenico da capitale e non di provincia dove le pressioni si fanno sentire meno. Sarri smette la tuta e s’infila la giacca, torna alla città d’origine del padre e forse avrà meno tempo di coltivare quell’ immagine di ruspante alternativo che i media gli hanno cucito addosso. D’altra parte basta nominare lo Statuto dei lavoratori e Bukowski per diventare un personaggio, anche se le due cose non stanno insieme. Bukowski, dei lavoratori se ne fregava altamente, trovando nell’ozio alcolico la maggior realizzazione dell’ uomo. Fra lui e Brodolini ( il socialista, padre del summenzionato Statuto) corre un abisso, che pare però colmarsi nella fiera espressione imbronciata dell’ ex bancario aretino.

    Sarà il nuovo Sacchi? Difficile dirlo. Intanto l’equivalente di quella materia prima che il mago di Fusignano plasmò a meraviglia ( Rijkaard, Gullit, Van Basten) non sembra essere a portata di mano e poi c’è sempre l’incomodo del Principe di Capri. L’azzimato presidente De Laurentiis esige risultati e dedizione, anche se, va detto, con Benitez ha dimostrato una certa pazienza. Saprà Sarri tenere botta al Tiberio/Totò partenopeo?

    Intanto Mihailovic è approdato ad un’altra corte che vive di rimpianti. Aveva detto che non avrebbe mai allenato il Milan e invece eccolo lì, fotografato fra Galliani e Berlusca. Niente di male, le idee si cambiano, ma quando qualcuno esterna posizioni di principio non richieste, poi c’è chi gli rimprovera una certa incoerenza, che comunque è il sale del calcio. Una giostra seria e infantile al tempo stesso a cui tutti vogliamo continuare a credere, fatta d’iperboli e silenzi, di scuse e di isterie, d’invidie e ripicche, di gioie e delusioni. E di vere e proprie meschinerie. Prendete l’ultima del Cavaliere. Dopo anni di assoluta mediocrità (politica, sportiva…) incassati denari freschi (quanto e come non si capisce del tutto), vinte le elezioni regionali in Liguria (sic!) di fatto ormai in condominio con qualcun altro, prima fa gli auguri alla Juve, poi sale sul carro del vincitore non per complimentarsi col Barcellona, ma per affossare i bianconeri. Lui le Coppe le vince, mica come la Juventus che le perde sempre in finale e poi giù con la tiritera demagogica del Milan che tornerà più grande che mai, in casa, all’ estero, in cielo, in terra e in ogni luogo. Intanto, il grande Milan rinnovato che per ora non si vede, lo porti da qualche parte, possibilmente in una finale. Quest’anno lo aspetta quella di Coppa Italia.

    Fernando Pernambuco

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