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  • Pernambuco: meno male che Mario c'è!

    Pernambuco: meno male che Mario c'è!

    Meno male che Mario c’è. Mario Sconcerti. Quando lo vediamo apparire in “Terzo Tempo”, sempre accanto a un bella trentenne, con la sua faccia da  ragazzone, tiriamo un sospiro di sollievo. Basta che appaia: fermo, imperturbabile, la tonalità monocorde d’un fiorentino ben temperato,  sentiamo d’un colpo che verrà fatta giustizia. Verrà fatta giustizia degli isterismi degli allenatori lamentosi e furenti, delle invettive sgrammaticate dei presidenti, dei tweet aziendali scandalizzati quanto improvvidi di società dalla memoria corta. Torniamo, coi piedi per terra, a parlare di calcio.

    Sconcerti è l’unico giornalista italiano che non voglia stupire e, soprattutto, che non faccia della contingenza un urlo demagogico-populista. Sa rendere classica l’attualità, inserire il risultato o il fatto del giorno nel mosaico storico degli eventi, dosare con sapienza statistiche e geometrie. E soprattutto lascia intendere, senza eccessi romantici, che il calcio è bello quando in campo diventa costruzione ed estro al tempo stesso. Per qualcuno è fin troppo ecumenico, per qualcun altro troppo prudente, addirittura democristiano. Il fatto è che Sconcerti rispetta la realtà (i risultati, le classifiche, le cause e gli effetti) più delle pulsioni e pesa le parole. Sarà perché la sua prosa è quella delle “croniche” e delle novelle toscane, dal disegno nitido e immediato.

    Una scrittura in cui la semplicità  non è un punto di partenza ma un adamantino esito finale, che lo situa nella linea toscana da Bilenchi a Cassola (anche se lui direbbe: troppa grazia per un cronista!) lontano dall’espressionismo lombardo di Brera. Sarà perché puo’ permettersi di non appartenere alla categoria dei giornalisti tifosi, quelli con la maglia di questa o quella squadra, che sventolano opinioni ai 4 venti e solleticano il ventre della curva con esaltazioni o anatemi, improperi o astruse interpretazioni. Lui è a parte, fuori dall’ ormai’insopportabile corrida cabarettistica di semiconcetti confusi, battutone straripetute, opinioni roboanti e gonfie come aerostati  alla deriva, che si bucano al primo spillo dell’evidenza. Certo,  anche la corrività degli altri, quel buio vociante bandiere e gagliardetti a ripetizione, proprio per contrasto lo illumina.

    Troppo freddo, troppo prudente? Senza desideri? A Firenze, in molti non gli vogliono bene. Pretenderebbero che diventasse il capo dei ciompi viola, che urlasse sempre contro i poteri forti (l’apriti sesamo di chi non sa né i come, né i perché) o che affossasse la Fiorentina dopo due pareggi. Invece è noto che il suo cuore a forma di giglio non lo rende cieco e  non gli fa confondere il lavoro del giornalista con  quello del tifoso arruffapopolo. I sentimenti certo che li ha. Ogni tanto, quando la bella ragazza al suo fianco ammicca o sospira guardandolo, lui fa un sorriso pudico al limite dell’ imbarazzo. E quando lo beccano mentre esulta ad un goal di Gomez, non nega la sua gioia, ma quasi si scusa. Non rinnega, ma non annega né nel narcisismo, né nell’insana passione. Lui non scrive e non parla per la Fiorentina, tanto meno per se stesso. Scrive e parla per i lettori e per gli spettatori. Meno male che Mario c’é.

    Fernando Pernambuco

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