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  • Pioli senza stress:|'Il mio cane e il sigaro'

    Pioli senza stress:|'Il mio cane e il sigaro'

    Stefano Pioli, da bravo allenatore del Chievo, si era preparato da tempo all'intervista «in rosa». Così si presenta all'appuntamento in compagnia di Barbara, sua moglie, la brava Federica, addetta stampa della società, e del suo cane Mel (femmina pure lei), docile Labrador di 12 anni. Nato a Parma il 20 ottobre 1965, dopo tre stagioni nelle giovanili del Bologna e l'esperienza, nel 2002-'03, come allenatore della Primavera del Chievo, Pioli approda nella conduzione di una prima squadra, la Salernitana, nel 2003 in serie B. Archiviata l'avventura campana, allena per due anni consecutivi il Modena, poi, nel 2006-07 il Parma in serie A, il Grosseto e il Piacenza tra i cadetti e infine, nella stagione da poco conclusa, il Sassuolo, disputando un ottimo campionato centrando uno storico quarto posto che gli vale la semifinale dei play off poi persa contro il Torino.

    Mister, ci riveli i suoi principali difetti.
    «Sono un testone. A dir la verità, io trovo che sia un pregio, ma per chi mi vede da fuori è un difetto. Quando sono convinto di una cosa nessuno riesce a farmi cambiare idea (sua moglie Barbara annuisce, ndr)».
    E i suoi pregi?
    «Sono una persona sincera e generosa».
    Riti scaramantici prima di una partita?
    «Non ne ho».
    È più difficile farsi valere in campo o in famiglia?
    «Sono due cose completamente diverse. Però penso che il ruolo che ho in campo e quello di capo famiglia in un certo senso si assomiglino: in entrambi infatti bisogna avere la giusta dose di autorità e oculatezza».
    Meglio fare il giocatore o l'allenatore?
    «Sono due esperienze diverse e io ho avuto la fortuna di essere stato da entrambe le parti, affrontando questo sport sempre con grande passione e gioia. Sono contento sia di essere stato un giocatore , nonostante alcuni brutti infortuni subìti, sia ora che sono allenatore: è un ruolo che mi piace molto e che mi regala molte gratificazioni».
    Qual è stato il giorno più bello della sua vita?
    «Per fortuna posso contarne molti: quello del mio matrimonio, nel 1989, quello della nascita dei miei due ragazzi, Carlotta che ora ha 22 anni e Gianmarco, 18. Il giorno più bello, se parliamo a livello sportivo, quello dell'unico gol segnato con la maglia del Parma».
    Quello più brutto invece?
    «Il giorno in cui è morto mio zio».
    Film e libro preferiti.
    «I film più belli che ho visto sono "Le Ali della Libertà" e "L'ultimo dei Mohicani". Il mio libro preferito è "Il codice Da Vinci"».
    Se non avesse fatto questo mestiere, cosa avrebbe fatto?
    «Ho sempre e solo desiderato di intraprendere la carriera di calciatore. Ho avuto la fortuna di vedere esaudito il mio desiderio, e mi sono concentrato su quello, trascurando un po' gli studi».
    Che cosa la fa veramente arrabbiare?
    «Mi fa arrabbiare veramente la mancanza di impegno nelle persone, il fatto di non provare a superare gli ostacoli, la mancanza di volontà, l'atteggiamento di chi si arrende facilmente. Nella vita arrivano dei momenti difficili, ma in cui è necessario non piangersi addosso e tirarsi su le maniche, senza aspettare che sia la fortuna ad aiutarti».
    E, invece, cosa la fa davvero calmare, dopo una sfuriata o una giornata difficile?
    «Una passeggiata con Mel, il mio cane, e fumare un sigaro. Anche andare al cinema mi rilassa molto: il cinema è il mio hobby».
    Come si vede tra vent'anni?
    «Mi vedo... pelato, spero nonno. Comunque, sereno».
    A proposito di famiglia... mondano o «pantofolaio»?
    «Pantofolaio, anche se sono migliorato con il tempo (lo dice guardando Barbara, che lo ricambia, sorridendole)».
    Gusti televisivi?
    «Quando mi rilasso in sala oltre ai film guardo, ovvio, moltissime partite. Mi concedo qualche serata di relax più ora, che sono allenatore, che una volta, quando ero un giocatore».
    A proposito di carriera: a chi deve dire grazie?
    «Ad un allenatore conosciuto tanto tempo fa, nel settore giovanile del Parma, che ora non c'è più: Giancarlo Pomelli. È stato il primo a credere molto nelle mie qualità di giocatore, il primo insegnarmi quali sono gli atteggiamenti giusti per arrivare a un certo livello. E poi, devo dire grazie ai miei genitori, che mi hanno sempre seguito con molta passione».
    Allenerebbe mai una squadra femminile (contando che al momento dell'intervista era accerchiato da donne, cane compreso, la domanda lo mette in difficoltà, ndr)?
    «Già non è facile allenare una squadra maschile. Per una femminile sinceramente non saprei cosa dire...».
    Il suo motto?
    «Non lasciare nulla al caso».
    Come ha conquistato sua moglie?
    «Grazie al mio difetto: la testardaggine. Ho insistito, perseverando. Quindi è merito mio se siamo qui. Lo scriva, questo». Accontentato.


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