Calciomercato.com

  • Pippo Russo: Messi, profeta senza patria

    Pippo Russo: Messi, profeta senza patria

    Da semidio del pallone a capro espiatorio di una nazione. È bastata una manciata di minuti affinché Lionel Messi vedesse mutare il proprio status agli occhi dei compatrioti. Giusto il tempo necessario per tirare una serie di rigori e decidere chi dovesse vincere la Coppa America. Soprattutto a stabilire chi dovesse perderla: l’Argentina, cioè la nazionale di cui La Pulga è l’uomo simbolo. E, paradosso su paradosso, al fuoriclasse argentino non è bastato nemmeno essere l’unico a fare centro dal dischetto per scansare il malanimo degli argentini. Che hanno imputato a lui una sconfitta giunta per errori dagli undici metri commessi da altri, ma anche il digiuno di successi che dura dal 1993, anno in cui l’Argentina vinse per l’ultima volta la Coppa America.

    Ventidue anni di astinenza che soltanto in minima parte potrebbero essere imputati ai (presunti) demeriti di Leo, ma che cionondimeno vengono raccolti in un fardello da porre sulle sue spalle. Per un motivo ben chiaro: il fatto di essere il più grande calciatore del suo tempo, e di non trasformare questa grandezza in una risorsa per la nazionale del suo paese.

    Siamo dunque all’ennesima variazione sul tema "Club vs Country", che nell’epoca del calcio globale si è trasformato in un nervo scoperto. E che nel caso di Lionel Messi assume un valore paradigmatico. Perché il fuoriclasse argentino del Barcellona è un emblema di quest’epoca calcistica fatta di profeti senza patria, inevitabilmente portati a dare il meglio di se stessi quando giocano per il loro club.

    Cosa rimproverano gli argentini a Leo? Essenzialmente, di aver vinto tanto col Barcellona e nulla con l’Argentina. Un dato oggettivo che agli occhi dei tifosi si converte in una colpa. E non basta stilare una lista di tutti i grandissimi del passato e del presente che con la propria nazionale hanno vinto nulla ma non per questo sono stati colpevolizzati. In alcuni casi si tratta di calciatori che – opinione personale – sono stati più forti dell’argentino, sia in termini di tecnica che di personalità.

    A partire dai due leader delle rappresentative nazionali più belle di sempre, eppur uscite sconfitte quando si è trattato di suggellare con la vittoria ai mondiali la loro superiorità: Ferenç Puskas e Johan Cruyff. E che dire di Alfredo Di Stefano, che secondo chi lo ha visto giocare è stato il più grande in assoluto? Ha vestito le casacche di ben tre rappresentative nazionali (Argentina, Colombia e Spagna), ma non gli riuscì di giocare nemmeno una gara delle fasi finali dei mondiali.

    E i grandi contemporanei di Lionel Messi? Zlatan Ibrahimovic è condannato a vincere nulla con la Svezia, circondato com’è da onesti manovali del pallone. E altrettanto destino rischia di toccare a Cristiano Ronaldo, che gioca in una nazionale di qualità buona ma sempre incapace di fare il salto decisivo verso l’eccellenza. Quanto a Neymar, a sua parziale attenuante ci sono la giovane età e il non essere sceso in campo causa infortunio nel giorno del "Mineirazo" contro la Germania. Ma c’era quando il Brasile venne eliminato ai rigori dal Paraguay ai quarti di finale della Coppa America 2011 (ciò che, tremendo ricorso storico, è stato replicato pari pari una decina di giorni fa), e ha chiuso in modo prematuro e inglorioso l’ultima edizione del torneo sudamericano per nazionali, facendosi espellere nel finale della gara persa contro la Colombia e rimediando quattro giornate di squalifica.

    E dunque l’interrogativo si rafforza: perché fare a Messi una colpa che a altri grandissimi del passato e del presente non viene attribuita? Domanda semplice che richiede una risposta complessa. Anzi, due.

    La prima riguarda lo specifico del calcio argentino, e richiama l’ombra che su esso continua a proiettare quello che per me è il più grande calciatore di tutti i tempi: Diego Armando Maradona. Cioè l’unico nella storia capace di caricarsi sulle spalle una nazionale di qualità normale trasformandola in una nazionale campione del mondo. Successe in Messico, anno 1986. Secondo e ultimo mondiale vinto dall’Argentina. Chiaro che, per qualunque altro fuoriclasse argentino dell’éra DD (Dopo Diego), il peso del confronto sia schiacciante. E da questo punto di vista non si può tacere il fatto che tutte le nazionali argentine in cui Messi ha militato abbiano mostrato una qualità media superiore a quella dell’Argentina vincitrice dei Mondiali 1986. Che, ribadisco, senza Maradona avrebbe potuto aspirare a un quarto di finale come traguardo massimo. Giusto la gara della Mano de Dios contro l’Inghilterra.

    La seconda risposta va invece oltre lo specifico del calcio argentino, e guarda al modo in cui i fuoriclasse del calcio odierno sono calati in un sistema dello show-business che mette al centro l’attività dei grandi club e dei loro campioni. Che a loro volta diventano delle aziende a se stanti, quasi delle nazioni calcistiche anomale. Per capire, basta guardare all’icona calcistica della contemporaneità che contende a Messi la palma di miglior calciatore del mondo: Cristiano Ronaldo. Che secondo Daniel Sá, direttore dell’Instituto Português de Administração e Marketing (IPAM), è non soltanto il calciatore col maggior valore potenziale di mercato (LEGGI QUI), ma addirittura un personaggio il cui peso nella diffusione della cultura portoghese nel mondo sarebbe equiparabile a due giganti delle patrie lettere: Fernando Pessoa e José Saramago (LEGGI QUI). E certo il paragone può sembrare esagerato o far storcere il naso ai non appassionati di calcio. E tuttavia, a rafforzare il senso delle parole pronunciate dal direttore dell’IPAM provvede una campagna lanciata nei mesi scorsi dall’agenzia nazionale del turismo portoghese in occasione del China International Travel Market, tenuto in novembre del 2014 a Shanghai. Quella campagna metteva al centro proprio l’attaccante del Real Madrid, e lo slogan conteneva il senso di un mutamento profondo che non riguarda soltanto il calcio: “Portugal teem o melhor do Mundo” (LEGGI QUI). Dunque, l’agenzia nazionale del turismo presentava il Portogallo come “il paese di Cristiano Ronaldo”. Un segno del rovesciamento di posizioni e di potere nel rapporto fra le superstar del calcio globale e i loro paesi. E in questo rovesciamento rientra perfettamente la figura di Lionel Messi, vincitore a ripetizione col Barcellona ma stigmatizzato come principale responsabile degli insuccessi dell’Argentina. Quando invece la sua figura dovrebbe essere rappresentata per ciò che è: la perfetta rappresentazione di un calcio fatto di profeti senza patria, perché costoro sono patrie autonome e individuali. In alcuni Paesi ciò viene tollerato. In Argentina no. E temo che a Lionel toccherà vincere qualcosa in maglia albiceleste non tanto per una questione di palmares personale, quanto per non passare alla storia del calcio come portatore di un curioso profilo ambivalente: Hero per i calciofili globali, Villain per i tifosi compatrioti.

    Pippo Russo 
    @pippoevai

     
     
     
     

    Altre Notizie