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  • Plati, 1° allenatore di Zaza: 'Simone e le lacrime dopo il ko del Milan a Istanbul'

    Plati, 1° allenatore di Zaza: 'Simone e le lacrime dopo il ko del Milan a Istanbul'

    • Guglielmo Trupo
    Vittorio Plati oggi è un assistente tecnico presso l’area archeologica di Metaponto. Ha la passione per il calcio e sa riconoscere i talenti. Si diletta a guardare partite in tv, se ne intende di pallone. Fa anche l’allenatore in un paese piccolo della Basilicata. Bernalda, 12 mila anime, dove segue e forma i ragazzi della Stella Azzurra Bernalda, squadra costruita da un imprenditore lucano, Nunzio Santorsola, professione gioielliere, tirata su dalle ceneri del vecchio Bernalda, fallito nel campionato di Eccellenza. Tra i ragazzi che ha allenato c’era anche Simone Zaza (nella foto con la coppa in mano), “un predestinato, si vedeva bene già da allora”, racconta a Calciomercato.com Plati con il fiatone e un pizzico di orgoglio. “Nella scuola calcio l’ho tenuto dai 6 ai 13 anni, poi lo ha preso l’Empoli per un provino, fino all’ingresso al Pontedera, club affiliato con l’Atalanta. Che emozione vederlo giocare con la maglia azzurra oggi. Non ci credo”.

    Sig. Plati, quando si è accorto che Simone ce l’avrebbe fatta?
    “Lui viene da una famiglia di calciatori, il padre era un attaccante, lo zio ha giocato nel Taranto e poi a Brescia, lui ha preso questa vocazione da loro. Anche se era piccolo d’età giocava sempre con quelli più grandi, il fisico glielo permetteva. Ha vinto il campionato con gli Allievi nonostante fosse un esordiente…”.

    Lei è stato il primo allenatore di Simone, un suo difetto?
    “L’unica pecca di Simone, è che calcia solo con il sinistro, tutto quello che fa lo fa con il mancino. E riesce  a fare tutto e bene, ma il destro, prima o poi gli servirà. Glielo dicevo già da allora: 'Simone, usa il destro, non avere timore', e lui rispondeva sempre: 'Non ci riesco, mister'. Amava calciare i rigori, anche allenamento finito. Durante le partite, in caso di penalty, prendeva il pallone, mi guardava come per dire che era un suo diritto, metteva la palla sul dischetto e calciava. Era sempre gol”. 

    Cosa la impressionava di Simone?
    “Mah, molte cose facevano ben sperare per il futuro. Quando c’era un calcio d'angolo per gli avversari si metteva al limite della nostra area, puntualmente prendeva palla e partiva. Non lo prendevi più. Era sempre gol, come su punizione. Voleva sempre batterle, sapeva di segnare. Personalità elevata, se si considera che giocava con i più grandi”.

    C’è un episodio al quale è legato?
    “Sì, un giorno, dopo la finale di Instanbul, dove il Milan ha perso la finale Champions League contro il Liverpool, beh, è arrivato con due occhioni lucidi. Era tifoso rossonero, penso lo sia ancora, e appena mi ha visto si è messo a piangere. 'Mister, forse i rigori dovevo tirarli io…' e piangeva”. 

    Perché lo hanno etichettato come una testa calda?
    “Perché già quando giocava con noi non voleva mai perdere. Ha sempre avuto la cattiveria calcistica, in campo lo vedevo lottare su tutti i palloni. Quella maglia era un po’ grande per lui, le maniche pendevano, i pantaloncini erano troppo lunghi, ma non riuscivi a fermarlo. Lui mangiava e giocava a calcio, quando aveva tempo dormiva. Il padre lo seguiva sempre. Niente marachelle, non poteva, era controllato. Poi è andato a Empoli, a fare un provino, il padre ha messo da parte i soldi per portarlo via”. 

    Vi sentite ancora?
    “Sì, lui è rimasto così, bravo con tutti, combattente in campo, pezzo di pane fuori. Quando torna a Metaponto, mi viene ad abbracciare, da lontano mi grida: 'Vittò…', non mi chiama nemmeno mister (ride ndc)”. 

    Che consigli si sente di dare?
    “Non ne ha bisogno, è un ragazzo per bene e non si monterà la testa”.  

     

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