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  • Quell'azzurro cuor di patriota|: De Rossi ha in mano l'Italia

    Quell'azzurro cuor di patriota|: De Rossi ha in mano l'Italia

    Se tocca a un ragazzo di 26 anni che gioca al pallone, sia pure con il mento onorato da barba e baffi rossicci da Carbonaro, assumersi il ruolo del Padre della Patria, e prendere, con qualche divertita ironia, le difese dell´Idea Nazionale contro i barbari, la Patria non deve stare proprio benissimo di salute. Ma questo è il ruolo che Daniele De Rossi, ostiense, romanista, centrocampista e tardo mazziniano alle soglie dei venerandi 27 anni che compirà in luglio, si è dato in mezzo a questa smarrita carovana azzurra - il colore appunto dei nazionalisti e dei Savoiardi - in cerca di autore. La parte di qualcuno che, in attesa di vederla amata, almeno la difenda e le dia una voce. Non generale, non «grande lìder» ancora, ma cuor di patriota.

    Quando De Rossi, ora non più rapato a zero ma in acconciatura risorgimentale, il «capitan futuro» della Roma ma anche il leader azzurro designato appena Fabio Cannavaro raggiungerà le oasi per calciatori stanchi in Dubai, ha deciso che qualcuno doveva pur parlare a nome degli orfanelli, dei co-co-pro, dei prepensionati e degli acciaccati della Nazionale 2010 contro le quali il Lombardo - Veneto gufa sfacciatamente, ha usato la stessa irruenza, la stessa forza agonistica che ha segnato la sua carriera di calciatore. E, straordinariamente, ci è sembrato che si divertisse a farlo e non sbagliasse, nel farlo, neppure un congiuntivo e un condizionale, nemesi del giocatore. L´amore di patria redime anche la sintassi.

    Non è mai stato uno che si risparmi, che tiri indietro il piede, la lingua o, purtroppo, anche il gomito, con il quale infatti sfasciò il naso di un avversario americano quattro anni or sono in Germania, dall´esordio bambino nell´Ostiamare fino al gol che ha regalato all´Italia un punto contro il temibile Paraguay, segnato appunto buttandosi a corpo morto nella mischia e trovandosi tra i piedi il pallone dimenticato dal portiere. La regola delle buone famiglie, che dovrebbe valere anche nel calcio, secondo la quale i bambini e i giocatori andrebbero visti, ma non sentiti, non poteva valere per una squadra dove il vero Pater Familias, l´uomo con il tappetino scendibagno bianco sul capo, il CT Lippi, che dovrebbe, ormai alla fine di una carriera gloriosa, picchiare i pugni sul tavolo, parlar chiaro e fregarsene, ha imparato invece a misurare le parole come un sottosegretario doroteo anni ‘70.

    Le sue sortite fra le opposte aree di rigore, la sua forza, da quelle in difesa dei tifosi contro il tesseramento voluto dal Ministro degli Interni Maroni alle infelici battute (ritrattate) sui poliziotti deliquenti dopo l´aggressione all´innocente tifoso della Roma, fino al giuramento sorridente fatto ieri di «fare un giorno il tifo contro la Padania» visto che le vuvuzelas lombardo-venete fanno il tifo contro l´Italia, sono ben più che una inopinata polemica fra un centrocampista e un ministro, qualcosa che soltanto nell´Italia 2010, intesa come nazione, può essere immaginabile. Ci riportano, in chiave di opera buffa o di talk show televisivo, agli scritti carbonari contro l´austriacante insediato nel Lombardo-Veneto e rivelano qualcosa su questa Nazionale italiana, più importante del 4-4-2 o della posizione in campo di Marchisio. Ci dicono che questo è un «gruppo» (parola obbligatoria ormai nel pallone) che si sente un po´ naufrago, lasciato a se stesso nel punto più lontano dall´Italia nel continente africano. C´è un vuoto e il vuoto, in natura come nella chiacchiera, sarà sempre riempito.

    Entra Daniele De Rossi, il portavoce dei muti, quello che nel celebre dipinto appeso al Museo del Risorgimento (sala 19) di Torino sulla partenza da Quarto sta seduto alle spalle di Garibaldi nella barca che lo trasporta verso i vapori dei Rubattino, non il capo, ma uno che ci vuole essere. Come domani dovrà essere colui che sbaraglierà l´armata dei pochi neozelandesi che, non sapendo giocare a rugby, si accontentano del calcio e devono infatti vestirsi di «All White» di bianco per non confondersi con i venerati «All Blacks», così in queste giornate africane è stato lui l´anti Maroni, l´anti Padania, l´anti Radetzky, quello che sembra parlare troppo soltanto perché gli altri parlano troppo poco.

    Tra un giudizio tecnico giustamente polemico sulle formazioni, «voi siete fissati coi numeri e i 4-4-2, ma i numeri in campo non contano niente», un´ammissione di debolezza con linguaggio da apicoltore «effettivamente davanti non pungiamo», e la difesa - paterna - del fratellino d´Italia Montolivo, che ha appena due anni meno di lui ma ha l´occhio spaventato, «molto simile a Pirlo» (bisognerebbe poi chiedere a Pirlo se è d´accordo) il patriota di Ostia ora rischia la vendetta dei Radetzky, perché si è preso sulle spalle l´Italia calcistica. Con la promessa di annunciare alla Patria domenica sera: Maestà, io vi porto la Nuova Zelanda

     

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