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  • Quell’indecente innocentismo su Messi

    Quell’indecente innocentismo su Messi

    • Pippo Russo
    L’ultimo in ordine di tempo a correre in soccorso di Leo Messi è stato Javier Tebas Medrano, presidente della Liga spagnola. Intervenendo sulla condanna a 21 mesi per evasione fiscale che il calciatore ha subìto assieme al padre Jorge Horacio, Tebas ha usato argomenti bizzarri. Ha innanzitutto sminuito la portata della condanna, dicendo che non si tratta di una pena da ventuno mesi ma della somma di tre da sette. Ha aggiunto che il fuoriclasse del Barcellona ha pagato al fisco spagnolo 160 milioni di euro “che sono serviti a costruire ospedali e strade”. Ha continuato sostenendo che la vera piaga del calcio sono i calciatori che arrangiano le partite con scarsa probabilità d’essere inquisiti. Ha risposto a precisa domanda dicendo che, sì, teme divedere Messi andare via dalla Spagna (le notizie relative all’incontro fra Messi papà e Roman Abramovich erano già circolate). E ha chiuso in bellezza dicendo che a suo giudizio l’argentino non è un delinquente, soprattutto perché non sapeva cosa altri (cioè il padre) stessero facendo col suo denaro.

    Un campionario di sciocchezze presidenziali che una volta di più dà la misura del personaggio Tebas, l’uomo che si sta battendo strenuamente per la legalizzazione di fondi d’investimento e TPO/TPI. E prendendole una per una si nota la pochezza degli argomenti. Per dire, se tre condanne sette mesi sono meno significative di una da ventuno, allora sarebbero delle vere pinzillacchere se fossero state sette da tre mesi, vero presidente? E che dire dei 160 milioni pagati alle casse pubbliche spagnole e serviti “a finanziare ospedali e strade”? Praticamente Tebas ci ha detto che i grandi contribuenti dovrebbero essere lasciati in pace perché i rivoli della loro ricchezza producono benessere sociale; tacendo invece sul fatto che la ricchezza di Lionel Messi, come quella di qualsiasi altro super-ricco è resa, possibile proprio dal sistema dell’imposizione delle regole e dalla coercizione giuridico-economica da cui l’argentino è stato sanzionato. Se non ci fossero le strutture legali e poliziesche dello Stato che rendono effettiva la vigenza dei contratti, né Messi né qualunque altro super-ricco accumulerebbero la massa esorbitante di redditi su cui poi pagano tasse “che servono a finanziare ospedali e strade”. Tralascio il discorso sui calciatori che truccano le partite, e vengo all’utilizzo dell’argomento sull’inconsapevolezza del reato come attenuante. Un argomento che, usato da un avvocato di mestiere come Tebas, risulta doppiamente improvvido. Visto il mestiere che fa, l’avvocato Tebas dovrebbe conoscere il principio secondo cui “l’ignoranza della legge non scusa”. Troppo comodo dire che non si aveva coscienza, o che qualcuno abbia comprato per noi una casa con vista Colosseo e a nostra insaputa.

    Infine, quanto al rischio che Messi decida di abbandonare la Spagna, viene da dire: vada pure. Se questo signore ritiene che una condanna per evasione fiscale sia lesa maestà, quando per qualsiasi cittadino è mera applicazione del codice penale, non vedo per quale motivo ci si debba sentir rimordere la coscienza qualora costui decidesse di defezionare. E giungendo al termine dell’analisi sulle argomentazioni di Tebas, bisogna chiedersi: è questo il senso della legalità alimentato dal presidente della Liga spagnola? È questo qui un pezzo della classe dirigente sportiva del Paese che continua a dominare il calcio a livello di club?
    In verità le opinioni espresse da Tebas sono non soltanto personali, ma piuttosto vengono a essere rappresentative dell’atteggiamento espresso da grossa parte barcellonismo nei confronti della vicenda, e magari tendono pure a lisciargli il pelo. Per fortuna questo atteggiamento non è unanime nemmeno all’interno della comunità barcellonista, ma cionondimeno il lancio da parte del club catalano dell’hashtag #WeAreAllLeoMessi va giudicato per quello che è: un’indecenza. Perché un conto è la solidarietà al proprio tesserato incappato in una disavventura giudiziaria, altro è porsi in contrapposizione a una sentenza pronunciata da un tribunale del regno al termine di un procedimento condotto col rispetto di ogni garanzia per gli imputati. E sarà anche vero che la campagna lanciata dal club miri semplicemente a dare un “supporto” a Messi. Ma non si deve dimenticare che, oggettivamente, supportare il condannato significa schierarsi contro la condanna, e far montare una marea emotiva e d’opinione che si contrappone alla sentenza di un tribunale. E poiché non siamo in presenza di un caso di diritti civili negati, ma di tasse evase, il lasciar crescere un sentimento e un’opinione contrari al pronunciamento della sentenza è eticamente discutibilissimo.

    A questo proposito vanno dette delle parole chiare: Lionel Messi va considerato innocente fino al definitivo compimento del suo percorso giudiziario (sempre che decida di presentare appello), ma al tempo stesso bisogna ben distinguere fra presunzione d’innocenza e innocentismo. Quest’ultimo non ha nulla a che fare col garantismo, né con la ricerca della verità giudiziaria al termine di un regolare procedimento. Piuttosto, esso si fonda sul dogma che l’accusato sia innocente a prescindere, o che addirittura sia una persona di foggia tale da non doverla sottomettere alla giustizia dei “normali cittadini”. Assolutamente inaccettabile. Per il Barcellona l’atteggiamento “oggettivamente innocentista” è stata una pesante caduta di stile, l’ennesima del periodo recente. Per Tebas, invece, l’atteggiamento “esplicitamente innocentista”” rappresenta nulla di nuovo: si sapeva che fosse un pessimo dirigente, e ne ha dato un’altra prova.
    @pippoevai

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