Calciomercato.com

  • Quelli come Verstappen fanno paura

    Quelli come Verstappen fanno paura

    • Marco Bernardini
    Gli chiedono a bruciapelo: “Adesso, questa sera se tu potessi scegliere andresti a cena con Bernie Ecclestone oppure con una stupenda ragazza?” Risponde senza un minimo di esitazione: “Sicuramente con Ecclestone. Per la mia carriera molto meglio stare ad ascoltare le lezioni di un guru che non uscire con le ragazze e magari farci anche l’amore”.

    Questo è Max Verstappen, il diciottenne olandese con ancora i brufoli della crescita sulla fronte, che a bordo di una Red Bull ha saputo mettere in fila le Ferrari e vincere un Gran Premio di Formula Uno. Non era mai accaduto prima, nel mondo dei motori, che un ragazzotto fresco di patente venisse eletto “re per un giorno” in uno dei circhi sportivi più ricchi e più audaci del mondo.

    In francese suona meglio che in altre lingue: “enfants prodige”. E’ la definizione che spetta a tutti coloro i quali riescono, per vocazione innata e per benevolenza di madre natura, a uscire dal coro e a esibire eccezionali qualità da solisti quando i loro coetanei hanno appena sostenuto l’esame di terza media. Il principe di questa emancipazione sopra le righe è sicuramente Amadeus Mozart che a sei anni, seduto davanti al clavicembalo nella sua casa di Salisburgo, compose la sua prima suonata andante mossa sul canone del minuetto. Per dovere di cronaca occorre ricordare che il grandissimo genio della musica di tutti i tempi lasciò questo modo all’età di trentacinque anni. Insomma, non se la godette molto.

    Lunga vita a Max, invece. Anche se le prime cose da lui dette subito dopo la clamorosa performance motoristica francamente mettono un po’ paura. Mi rendo conto che i ragazzi di oggi sono molto diversi da quelli che eravamo noi e anche dai nostri padri, ma in tutta sincerità al posto suo io avrei optato per una bella cenetta a lume di candela con una fanciulla dei box. Tanto Ecclestone mica scappa e con lui ci si può vedere tranquillamene il giorno dopo. De gustibus, certamente, ma anche lo spaccato di una maturità fin troppo precoce che rischia, come tutte le cose eccessive, di bruciarsi anzitempo. A sua giustificazione, certamente, l’educazione ricevuta in casa. Papà e mamma piloti (lei di kart) e nonni meccanici. Il bombardamento psicologico deve essere stato niente male. E in casi del genere possono accadere solo due cose: la fuga per nausea o la paranoia quasi maniacale. Max ha scelto la seconda.

    Oddio, non è che Verstappen rappresenti un’eccezione clamorosa rispetto alla tribù dei campioni minorenni. Nel mondo e nei vari periodi storico se ne possono contare un discreto numero. La prima che mi viene in ente è Nadia Comaneci. Sembrava un passerotto mentre volteggiava alle parallele nel palazzetto Olimpico di Montreal. Era il 1976 e lei era una bambina rumena di quindici anni. Vinse tre medaglie e fece innamorare il mondo. Anche un “animale” di nome Nicu Ceausescu che, dopo essersi fatto i suoi comodi, le spegneva sulla carne nuda le cicche di sigarette accese. Nadia oggi vive negli Stati Uniti ma per vent’anni è stata in cura da uno strizzacervelli.

    Storie diverse, cioè meno tribolate, quelle di Pelè, Rivera, Totti e Paolo Maldini. I tre nostri “enfants prodige” esordirono anche loro al tempo delle mele. Carriere memorabili, per loro, che diventarono grandi (dentro) strada facendo. Non dovette aspettare più di tanto, invece, Pelè che nel 1958 (non aveva ancora diciotto anni) giocò i Mondiali di Svezia segnando sei gol. E fu subito Leggenda non vietata ai minori. Clamoroso nel tennis, poi. A quattordici anni si presume che sia possibile reggere bene una paletta da ping pong. La quattordicenne Hingis, invece, entra a quell’età nell’esclusivo mondo del WTA e due anni dopo sbanca il tempio sacro di Wimbledon. Un poco come il golfista torinese Manassero il quale a diciassette anni è già campione d’Europa. Anche la boxe ha il suo  “enfant prodige”. Nero, bello, elegante anche sul ring. Quando vince la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma ha diciotto anni e si chiama Cassius Clay. Diventerà Mohammed Alì, simbolo della negritudine e del riscatto sociale in un Paese altamente razzista oltreché alfiere della pace nel mondo scegliendo la galera piuttosto che la guerra in Vietnamnfine un salto in  piscina per ricordare la deliziosa Novella Caligaris e per seguire, ancora adesso, la bionda sirenetta Federica Pellegrini. Erano entrambe sedicenni quando finirono sulle prime pagine dei quotidiani sportivi e non. Una domanda a tutti loro dopo averli fatti tornare indietro nel tempo. “Con chi andreste a cena  stasera?”. Presumo di conoscere le risposte  avendo potuto conoscere i personaggi. Indovinate un po’….

    Altre Notizie