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  • Raiola e Donnarumma non si sono fidati di un Milan piccolo piccolo

    Raiola e Donnarumma non si sono fidati di un Milan piccolo piccolo

    • Giancarlo Padovan
    L’Italia è un Paese di moralizzatori d’accatto. Tutti bravi a parole ad occupare abusivamente il futuro di un calciatore di diciotto anni, ma pochi in grado di riconoscergli nei fatti il diritto di scegliersi la carriera che meglio gli aggrada, sia dal punto di vista economico, sia da quello sportivo.

    Rifiutando il rinnovo con il MIlan, Donnarumma ha espresso una doppia volontà: quella di guadagnare di più dei cinque milioni che gli offriva la dirigenza rossonera; quella di giocare in una squadra che partecipi da subito alla Champions League. Sono due esigenze legittime, si possono discutere, non censurare, visto che siamo sul piano delle libere volontà. Probabilmente ad esse si accompagnano anche altre considerazioni.

    Da mesi, ormai, sono tra i pochi a sostenere che il Milan cinese non mi convince. E non mi convince non per gli acquisti, che sono tra i più costosi e qualitativi del mercato, ma per il closing più lungo, travagliato e controverso della storia del calcio moderno. Mai vista, almeno in Italia, una nuova proprietà che per arrivare a versare quanto pattuito, si fa prestare 303 milioni da un fondo di investimento americano (Elliott) ad un tasso di interesse che può arrivare fino all’undici e mezzo per cento.

    Evidentemente non sono il solo a nutrire qualche perplessità sul futuro a medio e a lungo termine di questo Milan. Forse sarà stato perplesso anche Donnarumma, di sicuro è perplesso Mino Raiola, del quale tutti dicono tutto il male possibile senza averne conosciuto i pregi e le caratteristcihe. Se qualcuno, prima di esprimere giudizi, avesse letto, anche in maniera superficiale, la biografia di Zlatan Ibrahimovic, saprebbe di chi e di cosa stiamo parlando.

    Raiola non è un agente qualsiasi. E’ quello deputato a rappresentare Donnarumma non solo nel momento della stipula di un contratto, ma pure nella scelta del club. Da navigato uomo di affari segue i soldi non solo per riempirsene le tasche (operazione legittima come per qualsiasi altro mestiere), ma anche per sapere da dove vengono, quanti ce ne sono, chi li porta, quanto durano e molte altre cose ad essi connaturate. 

    E’ evidente che tanto Donnarumma quanto Raiola si fidino di più di altri club rispetto a questo MIlan. Può darsi che sbaglino, può darsi che Raiola avesse un miglior rapporto con Galliani che con Fassone. Fatto sta che non ci vedo nulla di scandaloso, né di turpe nel preferire altri.

    Parimenti non incoraggia la situazione agonistico-sportiva del Milan. Donnarumma ha collezionato 72 presenze in serie A e nessuna nelle Coppe europee. La ragione è elementare: il Milan non partecipa alla Champions League dalla stagione 2013-2014 e alla attuale Europa League dal 2008-2009. Quest’anno vi entrerà - se vi entrerà - solo attraverso i preliminari. Evidentemente un percorso poco idoneo rispetto a quello che Donnarumma vuole fare da subito.

    L’obiezione è che se il Milan si impunta, può mandare Donnarumma in panchina o, peggio, in tribuna per l’intera prossima stagione. Certo, nessuno glielo può impedire, anche se la decisione avrebbe due controindicazioni molto chiare. La prima: l’ambiente contesterebbe la sua sola presenza fin dal ritiro, tanto da decretarne l’ostracismo. Insomma sarebbe un problema anche del Milan gestirne l’incompatibilità con i tifosi. La seconda: la società rinuncerebbe a 20-25 milioni ricavabili dalla sua cessione entro agosto.

    A chi eccepisce sulla ridotta entità della cifra, va ricordato che Donnarumma è in scadenza di contratto nel 2018 e che dal prossimo primo gennaio può firmare a zero euro per qualsiasi altro club, con il quale si accaserebbe non prima di giugno. 

    Resta da chiedersi chi abbia messo il nuovo Milan con le spalle al muro. E’ ovvio: il vecchio Milan, Galliani e Berlusconi in testa, che, per superficialità o incuria, hanno rinunciato, di fatto, al portiere più promettente dei prossimi ventanni

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