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  • Ranieri, anche la Juve ti  deve delle scuse

    Ranieri, anche la Juve ti deve delle scuse

    • Marco Bernardini
    Forza, alè! Saltate pure tutti quanti sul carro del vincitore e, nel corso del trionfale giro d’onore, raccogliete i petali dei fiori lanciati dalle finestre e dai balconi. Io non vengo. Preferisco starmene, sotto, a fianco di quel carro. Lo aspetto, certamente. Appena arriva mi farò avanti prima che venga inghiottito dai trombettieri farisei. Lo saluterò. Sicuramente si ricorderà anche di me. Gli stringerò la mano. Certamente ricambierà il gesto con schiettezza. Gli chiederò scusa a voce alta, affinchè sentano tutti. Mi ringrazierà perché è un signore. 

    Dico di Claudio Ranieri, nuovo barone di Leicester e allenatore tra i più spernacchiati in Italia. Il dovere di saper dire: mi spiace tanto, ho sbagliato. Un modo di essere e di agire nei confronti del prossimo sempre meno attuale a praticato. Sembra che ad ammettere un proprio errore sia quasi un delitto di lesa maestà nei nostri stessi confronti. Un’umiliazione che, al contrario, dovrebbe rappresentare la più solenne forma di civiltà e di buon senso. Come dicono quelli che pregano: rimetti i nostri debiti… Ma troppe volte noi pensiamo di essere in credito e manco ci sfiora l’idea di chiedere scusa. Sarebbe il minimo nei confronti dell’uomo che dicono sia riuscito a scrivere una delle fiabe più belle del nostro secolo disincantato. 

    Per ciò che personalmente mi riguarda  devo ammettere di aver equivocato sulla figura professionale e umana di Claudio Ranieri per almeno due anni. Dal 2007 al 2009 ovvero le stagioni calcistiche che lo hanno visto sedere sulla panchina della Juventus. Era la squadra che appena uscita da Calciopoli e tornata all’inferno della Serie B si ripresentava al tavolo delle Grandi sicuramente stordita per ciò che di apocalittico era accaduto e, per la prima volta nella sua storia, societariamente fragile ancorchè il presidente Cobolli Gigli fosse una persona molto per bene e professionalmente preparato sotto il profilo amministrativo. Ma l’anima bianconera era ancora dentro i box per la necessaria manutenzione dopo il disastro. Dopo il “rais” Capello e l’interregno del mite Deschamps arriva Ranieri. L’uomo giusto  nel momento sbagliato. Perché lui non è soltanto un eccellente professionista ma, soprattutto, è un uomo assolutamente normale. Un poco come Carlo Ancelotti, se vogliamo dirla tutta, il cui fallimento bianconero era stato dichiarato ancora prima che lui si mettesse al lavoro da quel coro triviale e inaccettabile  “Un maiale non può allenare la Juve”.

    All’indirizzo di Ranieri non si era levata nessuna protesta così clamorosa, ma egualmente andava a pesare l’indifferenza e il sospetto che fin da subito la piazza dimostrò di nutrire nei suoi confronti. Il suo pedigree, sprovvisto di successi clamorosi se non il record di non aver mai perso un derby in carriera, lasciava perplessi quelli abituati a vincere anche senza le oscure trame di personaggi inquietanti. Le sue fresche e positive esperienze in Spagna e in Inghilterra non erano sufficiente garanzia per coloro che pretendevano tutto e subito. Eppure quella era già la Juventus di Del Piero, di Buffon, di Camoranesi, di Marchisio, di Trezeguet e del neonato Giovinco. Non occorreva far altro che avere un poco di pazienza e aspettare. Possibilmente sotto traccia e senza fare eccessivo rumore. Non era un leader urlante e anche un poco presuntuoso, Ranieri, come lo sarebbe stato Antonio  Conte. Il suo lavoro non prevedeva, nè prevede oggi, l’uso dell’elettrochoc ma quello di piccole e tante scosse quotidiane attraverso le quali motivare umanamente i suoi ragazzi per crescere con loro. Esattamente ciò che ha fatto con il Leicester che non  è lo specchio di una favola ma l’esempio del successo della sana normalità sulla schizofrenia. A Torino non gli venne concesso. A Torino dovrebbero sentire il dovere di sapergli chiedere scusa. Io lo faccio, senza provare vergogna.

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