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  • Rita Schillaci, una favola finita a pezzi

    Rita Schillaci, una favola finita a pezzi

    • Marco Bernardini

    Anche le favole hanno due facce. Come la luna. La luce del sole illumina e mostra quella, inattesa, di Claudio Ranieri e del suo Leicester. E' anche questo il calcio. Il buio che mette angoscia nasconde quella di Rita Schillaci e della sua fiaba finita a pezzi. Come una fragile statuetta in vetro soffiato di Murano. E' anche questo il calcio. Non è gossip. E' cronaca. Spietata. 

    La fotografia non concede margini di  equivoco. Bionda, spalle ben dritte a mostrare dignità, bionda probabilmente tinta ma non volgare. La bellezza, sicuramente innata, conservata a dispetto del quasi mezzo secolo di età e degli schiaffi a raffica ricevuti in viso per almeno quindici anni. Fiera ma disperata, seduta sopra una sdraio accanto a una tenda da campeggio che è la sua casa di persona "in attesa di giudizio e sequestrata di ogni bene". Rita in caduta libera. Da quando il suo uomo, travolto anche lui da un destino imbattibile nel gioco dei dadi, decise di lasciarla e di seguire una strada che portava in un Paese dall'altra parte del mondo. Aveva assoluta necessità di dimenticare, Salvatore Schillaci detto Totò. Eroe del palcoscenico per il tempo di un battito di ciglia e poi vuoto a perdere perché la platea è crudele nei confronti di chi cade. Lui era caduto dall'alto. 

    Vi prego di credermi. Scrivo e provo pena. Perlomeno molto fastidio. E se lo faccio, non è tanto per diritto di cronaca quanto, semmai, per dovere etico di sottolineare mai ce ne fosse bisogno gli intrighi di una vita spesso bizzarra e talvolta ingiusta. Non spaccio amicizia pregressa, nel senso stretto del termine, con la famiglia Schillaci. Una buona conoscenza sì, per ragioni professionali. Il taccuino degli Anni Novanta è fitto di annotazioni. Un romanzo in tre parti, quello della Juventus, dal 1989 al 1992. Doveva essere meglio della storia di Cenerentola. Finì in requiem. 

    Erano arrivati, Totò e Rita, a Torino con la faccia di quelli che scendevano dal Treno del Sole e affrontavano una realtà per loro marziana. Lui lo sguardo da pazzo, come quello mostrato al mondo dopo i gol mondiali di Italia Novanta. Lei con gli occhi da cerbiatta. Il bimbo in braccio vestito con i completino del grande magazzino, la frenesia incontrollabile della palermitana di borgata popolare alla conquista della sua America. Tutto e subito, possibilmente. Entrambi niente attrezzati a reggere il trauma psicologico del grande salto dalle stalle alle stelle. Rita soprattutto, più di Totò. Si vedeva lontano un miglio che, sotto la vernice di  moglie e di madre, scalpitava come un purosangue. Era la giovane donna che della vita conosceva poco nulla. 

    Oggi separazioni e divorzi fanno cronaca solamente per l'entità degli assegni di mantenimento. Venticinque anni fa, perlomeno in certi ambienti puritani almeno per facciata, l'evento veniva vissuto con grande imbarazzo. Boniperti, ad esempio, non si lasciò convincere a perdonare il suo bomber che pure aveva tanto desiderato (su suggerimento di Scoglio e di Zeman) per il fatto di aver chiesto e ottenuto la separazione dalla sua compagna. Il presidente bianconero, da buon sabaudo, non riusciva proprio a calarsi nei panni del sicilianissimo Totò che a portare pubbliche "corna" proprio non ci stava. Rita, passata dalle feste rionali palermitane alle cene in Villa Agnelli, aveva perso un poco la testa. La vita come un film. E, come nella finzione cinematografica, il cuore può cominciare a battere forte per illusorie avventure. Diventano amanti lei e Lentini. Lui, addirittura, finisce in coma schiantandosi con l'auto al ritorno da un convegno amoroso con Rita. E' scandalo a Torino. Totò va via di casa e la lascia. La Juventus lo molla passandolo all'Inter. Ma il pettegolezzo lo insegue e lui non lo regge, "minchia". Migrerà in Giappone dal quale farà ritorno rinato dentro e con una nuova famiglia. 

    Rita resta a Torino. Ma non è più la donna del campione delle notti magiche. Pochi amici rimasti. Meno ancora quelli fidati. Lei, ancora immatura, si appoggia agli altri. Una certa Giovanna la incasina per bene con una storia di gioielli, poi risultati rubati, per la quale da dieci anni va avanti la causa che ha portato, ora, Rita al sequestro della casa dove è tornata a vivere a Palermo. Intanto per campare fa la "sciampista" e,con la speranza di migliorare, ha preso un diploma da "estetista". Dice: "Ho  amato un solo uomo nella mia vita. Totò". Una frase che mette ancora più tristezza perché conferma che la favola di Cenerentola nella vita reale non è replicabile se viene soltanto desiderata. Come un sogno, va in frantumi. 
     


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