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  • Roma:| 'C'erano imprenditori romani interessati, ma...'
Roma:| 'C'erano imprenditori romani interessati, ma...'

Roma:| 'C'erano imprenditori romani interessati, ma...'

Per la prima volta Alessandro Daffina, amministratore delegato di Rothschild Italia, banca d'investimenti di profilo internazionale ed advisor di Unicredit nella vendita dell'asset AS Roma, ha rilasciato una intervista, in cui ha spiegato, punto per punto, come è nato ed è stato gestito l'intero "affaire" che ha portato all'ingresso (lo scorso 16 aprile 2011) di James Pallotta & socinell'azionariato del club di Trigoria.
Un'intervista che traccia uno "stato dell'arte" non solo del calcio, ma anche dell'intero Sistema-Paese, su cui riflettere e far riflettere gli addetti ai lavori di questo mercato (considerato a torto o a ragione la 6a industria italiana). L'intervista in esame (nella sua versione integrale) sarà parte di un libro ("La Zona Franca"), edito nei prossimi mesi dalla Castelvecchi. Un'esclusiva assoluta per l'informazione giornalistica italiana, oltre che per il debutto della nostra testata. Questa è la seconda puntata di una intervista "fiume" a 360° sul mondo del calcio italiano.

Per rileggere la Ia parte dell'intervista  CLICCA QUI

 

 

(IIa Parte) 

 

D) E quanto ha pesato non poter vantare uno stadio di proprietà?

R) Lo stadio è un'altra componente significativa di revenue. In Italia tutto è difficile. Si pensi solo allalegge sugli stadi bloccata nell'ultima legislatura. Tutto fermo, per non parlare dei tempi biblici. Si individua un'area, ma i tempi autorizzativi si allungano costantemente. Un giorno questi stadi verranno costruiti, ma fino ad oggi si è vissuto in una totale incertezza. Quando abbiamo iniziato a vendere l'AS Roma, anche in presenza di un DDL (disegno di legge, ndr) sugli stadi, c'era un progetto di impianto, una licenza edilizia in funzione del numero dei posti, eppure alla fine si è arrivato ad un nulla di fatto. Speriamo che, prima o poi, si arrivi ad un testo di legge utile, ma potrebbe essere anche dannoso.  Bisognerà vedere cosa ci sarà scritto una volta approvato. Mi auguro che sia utile per i players presenti sul mercato. In Italia vengono spesso a mancare due grandi componenti: ricavi da merchandising e da stadio. Poi c'è il capitolo sponsorizzazioni.

D) Si spieghi meglio.

R) Innanzitutto, c'è una concorrenza molto forte tra squadre di calcio italiane per avere i grandi nomi. Non essendo il nostro Paese una piattaforma internazionale per attrarre investimenti come Francia, Inghilterra e Germania, purtroppo questi mercati vengono prima in termini di preferenze a livello di sponsoring. Molte aziende internazionali preferiscono investire in Premier league, perchè la lingua è la stessa, perchè hanno l'headquarter a Londra, perchè la Premiership britannica viene trasmessa in tutto il mondo e così via. Questi elementi determinano la scelta di un mercato a favore di un altro. Sono mercati, quelli stranieri, dove, tra l'altro, è più facile raggiungere il break-even  (punto di pareggio, ndr) e questo pesa sulle scelte sponsorizzative.

D) Quindi è difficile vendere un club tricolore?

R) In linea di principio ritengo che le squadre italiane di calcio siano invendibili.

D) Ce lo conferma?

R) Certo, le squadre tricolori sono invendibili, perchè sono costruite su piedi di argilla. Hanno strutture di ricavi che non stanno in piedi, così come a livello di costi, e lo Stato, che dovrebbe in qualche modo creare delle condizioni di sviluppo, non ti aiuta. Livelli di tassazione più alti di altri Paesi, non ci sono tutele sul fronte del mercato del merchandising, per non parlare dei problemi di ordine pubblico più marcati rispetto ad altri Paesi. Respiri sempre un clima poco piacevole. Se vai, invece, all'Allianz Arena, in Germania, tanto per parlare di un impianto straniero, ci si trova di fronte ad un gioiello di tecnologia e comfort. Ti vergogni quasi di essere italiano.

D) Ma questa percezione negativa del nostro Paese l'aveva anche prima, giusto?

R) Sì.

D) Sin dall'inizio immaginava di venderla a stranieri o ad investitori italiani?

R) Assolutamente, solo a stranieri.

D) Perchè?

R) Questo aspetto è stato anche un motivo di scontro con Rosella Sensi (ex presidente dell'AS Roma, ndr), perchè una squadra di calcio, secondo me non può essere nelle mani di una famiglia, in un contesto dove non ci sono ricavi e la struttura dei costi è fuori controllo. Se fossimo almeno in un regime di Fair Play Finanziario, dove tutti puntano a ridurre concretamente i costi, già sarebbe diverso. Guardi cosa è successo nella F.1, dove nonostante il volume del business si è cercato di ridurre i costi in media di tutti i team. Un esempio concreto rispetto al mondo del pallone. 

D) Ma c'è stato qualche imprenditore italiano/romano che si è fatto avanti?

Ho sperato anche di attirare l'interesse di grandi gruppi e imprenditori italiani alla fine qualcuno secondo me,non faccio nome perchè è antipatico, qualcuno che poteva andare avanti c'è stato (anche in ambienti italiani/romani) però alla fine non ha proseguito per l'eccessiva esposizione del calcio e per il timore di rimanere con il "cerino in mano". Ovvero lievitazione dei costi, spendere un sacco di soldi e l'impossibilità di passare la proprietà ad un altro soggetto. Di fare la fine di Semarato a Lecce, che per anni (6-10 anni) ha provato a venderlo. Con la differenza che a Lecce te la cavi con 10 milioni di euro, a Roma devi investire ogni anni cifre molto più importanti. Qualche imprenditore romano era anche interessato, ma alla fine ha desistito, anche per il peso del tifo a RomaTifosi, forse anche aizzati da qualcuno, si sono messi di traverso, come nel caso di Angelucci.


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