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  • Roma-Inter: da Mazzola a Totti, è la partita del gol. E quel far west nel '72...

    Roma-Inter: da Mazzola a Totti, è la partita del gol. E quel far west nel '72...

    • Matteo Quaglini

    La partita anarchica per eccellenza. La partita del gol (572 in 196 gare, coppe comprese). La partita imprevedibile del "Tutto può succedere". Roma-Inter (166 partite in A, 71 vittorie Inter, 47 vittorie Roma), geni e sregolatezze a confronto. Un viaggio calcistico tra fuoriclasse estatici alla Meazza, alla Falcao o imperituri alla Totti o sublimi alla Mazzola. Una trama sempre imprevedibile nel romanzo di uno scontro tecnico fatto di pirati e campioni, di gesti ed emozioni, di affinità filosofiche del surreale.

    Questi tratti vennero fuori già al primo Roma-Inter della storia, quando vinse la Roma 2-0. Era il 24 novembre 1929, Campo Testaccio, nessuna squadra ci passerà recitava la canzone e nemmeno l’Inter di Meazza e del grande allenatore ungherese Arpad Weisz seppe resistere. La prima pazzia di una partita asimmetrica, la Roma era una giovane squadra nata da due anni mentre l’Inter aveva già imperato sul campionato e Meazza e Weisz, erano allora, quel che oggi sono Ronaldo, Messi e Guardiola. I migliori.

    Una partita di surrealisti e di artisti visionari alla Dalì, che pennellano calcio. Quello sinistroso nelle curvature, come lo descrisse Brera nell’agorà del calcio d’allora, di Falcao che con una magnifica punizione arcuata batté Bordon e l’Inter nel dicembre 1982. Oppure quelle verticali e saettanti alla Di Stefano, di Ronaldo che con il volo dell’aquila e la sua supersonica velocità regalò con due doppiette altrettante memorabili vittorie romane all’Inter, nel marzo del 1998 e nel famoso 4-5 del maggio dell’anno successivo, dove errori e magie furono le alchimie di una partita da sempre impronosticabile.

    Una pioggia di gol che inorgoglì l’interismo romano come già era accaduto nel gennaio del 1968, quando l’ex squadra campione di tutto in Italia e in Europa, l’Inter di Herrera, recitò per l’ultima volta il copione di una tattica essenziale e per questo micidiale. I gol di Domenghini, di Mazzola, di Suarez e di Corso nel 2-6 finale furono l’ultima pennellata dell’arte gotica che fu la Grande Inter. L’ultimo passo tutti insieme della vecchia guardia herreriana prima della fine di un’epoca.

    E’ stata anche la partita della rivalità scudetto tra Mourinho e Ranieri. L’allenatore romano trionfò con grande emozione nella battaglia di Roma 2-1 nel marzo del 2010, ma Mou stretto nel suo capotto napoleonico di allora, che lo faceva più immaginifico di quanto sia iracondo oggi, vinse la campagna militare e con essa il titolo italiano nell’anno storico e imperituro del triplete.

    Gli anni duemila per le due squadre sono stati quelli della ripetuta e quadriennale (2006-2010) lotta scudetto; suggellata dal gol al 90° di Zanetti in Inter-Roma 1-1 del marzo 2008, con un tiro al volo che racconta la gestualità estatica di questa partita. La gestualità dell’incredibile che è lì a suggellare vittorie. Imprese descritte dalla mezza rovesciata volante di Djorkaeff per il successo 3-1 del 1996 e dai pallonetti di Baggio (Inter-Roma 2-1,2000) e di Totti (Inter-Roma 2-3,2005) che dopo l’assolo rifinì, a San Siro, una delle sue tele più grandi e applaudite anche dal palio interista.

    E’ stata la partita dei grandi centravanti soli contro tutti, come Vieri, il grande Bobo che cercò da solo, di fermare con una doppietta la corazzata di Capello nel 2001 capace comunque di vincere una partita trappola fondamentale per lo scudetto.

    Ed è stata, in questo romanzo gotico che è Roma-Inter, la partita del Far West e di un arbitro. Il 17 dicembre del 1972 si gioca all’Olimpico Roma-Inter undicesima del campionato ’72-’73 a dirigere c’è Alberto Michelotti, grande arbitro. La Roma terza in classifica attacca, l’Inter prima difende. Un’azione dietro l’altra, una serie di occasioni incredibili per la Roma che gioca in maglia bianca. Herrera contro i suoi pretoriani Burgnich, Corso, Mazzola e Bedin.

    A una manciata di minuti dalla fine Stefano Pellegrini, ala della Roma prima prende il palo con il grande Lido Vieri battuto e poi di nuovo solo batte alto sulle speranze dei 60.000 dell’Olimpico. Siamo 1-1 e la partita d’improvviso si rovescia, diventando un cult- western alla Sergio Leone. Minuto 89° Bedin corre sulla destra e poco fuori l’area, spostato, mette d’interno collo un passaggio arcuato verso il centro, i difensori centrali della Roma che hanno stretto su di lui lasciano scoperto il cuore dell’area, dove stanno arrivando di gran carriera Mazzola e Morini. Michelotti segue tutto da lontano! Il grande Sandro è avanti col corpo, Morini gli sta attaccato, tocca il pallone mettendo, in acrobazia, il piede avanti al busto del fuoriclasse interista e poi con la mano sullo slancio lo tocca sulla coscia, il nobile cavaliere figlio dell’immenso Valentino cade dentro l’area ma entrambi i piedi sono fuori area. Arriva Michelotti, rigore! Pubblico iracondo, giocatori della Roma increduli, Herrera in panchina col braccio ieratico che attacca perché capisce che il sogno di toreare l’ex creatura è bello che svanito.

    Nasce così un western leoniano, dove Morini è il buono quello che ha fermato il pericolo in modo pulito, Mazzola interpreta il brutto cadendo dentro l’area, quando il fallo è fuori e Michelotti è sentenza, il cattivo che ha decretato il rigore che esclude la Roma dal vertice scudetto e rilancia vecchie e sempre iraconde polemiche sulla sudditanza verso il nord pallonaro.

    Il grande Boninsegna, detto Bonimba segna il 2-1, l’Inter ha vinto. Senza merito ma in modo immaginifico. Sulla palla al centro il western di Leone si accende e diventa la battaglia di Trafalgar, tutti contro tutti. Invasione di campo dei tifosi, spinte, parapiglia, fughe nei sottopassaggi, caos e feriti. Il momento è cinico e ingiusto per il calcio, le squadre e i giocatori. Qualcuno raggiunge gli spogliatoi dell’arbitro e le intenzioni non sono quelle di parlamentare come dopo le battaglie dei pirati.

    Il Presidente della Roma Gaetano Anzalone piccolo e timorato di Dio come ce lo racconta la storiografia romanista, con arte diplomatica li induce a desistere dai propositi bellicosi, si espone per salvare la Roma dalla catastrofe e Michelotti da guai seri.

    I giorni successivi sono quelli della polemica: Roma sconfitta 0-2 a tavolino, Olimpico squalificato, squadra nel trip mentale, Herrera definitivamente sconfitto nella sua avventura romana, Inter nel vortice della sudditanza riconosciutagli e concessagli. L’unico tranquillo è “sentenza” Michelotti che da Parma, dove lavora, ribadisce la giustezza del suo controverso operato. Presto con il ’73 sarà internazionale.

    I giornali raccontano, Tosatti nell’editoriale del Corriere dello Sport titola “La Roma spreca gol poi la beffa di Michelotti”, la Stampa scrive di una partita che ha dato al tempo stesso la bellezza, la bruttezza, l’umanità e la ferocia del calcio.

    Nel più demoniaco Roma-Inter di sempre, c’è tutto il fascino di questa partita anarchica che da grandi anarchici del racconto calcistico e cinematografico come Tosatti, Brera, Leone, Michelotti, Mazzola, Herrera e Morini non poteva che essere raccontata con i tratti che merita. Quelli Magistrali e anarchici di un romanzo gotico.  

     

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