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  • Ruggeri: 'Atalanta ceduta per le minacce degli ultrà'

    Ruggeri: 'Atalanta ceduta per le minacce degli ultrà'

    L'ex presidente Alessandro: "Troppe minacce, così ho venduto a Percassi".
    Ruggeri denuncia: "Ceduta l'Atalanta per le minacce".
    "Costretto a cedere da ultrà violenti e finti amici. Ora a Bergamo ci sarà un processo e qualcuno dovrà pagare tutti i danni".
     

    "Senza le intimidazioni degli ultrà, mai e poi mai avrei venduto l'Atalanta. Sarei rimasto e avrei portato la famiglia lontano da Bergamo, una città che non merita niente. Se il processo confermerà le tesi dei magistrati, qualcuno dovrà risarcire tutti i danni". E’ il passo più importante del duro sfogo di Alessandro Ruggeri, ex presidente dell'Atalanta, dopo anni di silenzio.

    Ruggeri, l’inchiesta sugli ultrà si è chiusa e le carte descrivono una rete di complicità inquietante. Che idea si è fatto?

    "Ho letto di ultrà, politici e persino componenti del CdA che si confrontavano su come costringerci a vendere. In tutti i modi, picchiando o non picchiando. Addirittura a prezzo modico, come se spettasse a loro stabilire il valore di un club".

    Perché ha venduto?
    "Bisogna fare un passo indietro. Mio papà Ivan ha comprato l’Atalanta nel 1994 ed è rimasto presidente fino al 2008, quando ha avuto il malore. In 14 anni ha subìto pressioni di ogni tipo, nonostante i risultati fossero in linea con quelli di una squadra di provincia".

    Come spiega questa ostilità?

    "Papà non scendeva a compromessi. Non è mai andato alla festa della Dea, come fa qualcuno adesso...".

    Che cosa ricorda dei primi anni di contestazione?
    "Ricordo le scritte sui muri, "Ruggeri vattene" ovunque. A volte andavo a scuola con la scorta e avevamo gli agenti davanti a casa 24 ore su 24".

    Il punto più basso ci fu in occasione di Atalanta-Milan, l'11 novembre 2007, il giorno della morte del tifoso laziale Gabriele Sandri.
    "Alcuni ultrà abbatterono una vetrata della curva nord con un tombino e la partita fu sospesa. Il giorno dopo papà, col d.g. Giacobazzi, fece firmare ai giocatori una presa di distanza netta da certa gente. In gennaio venne distribuito un volantino violentissimo e tre giorni dopo papà ebbe il malore dal quale non si è più ripreso".

    Però, poi, ci fu una tregua.

    "Ma noi eravamo tutti più deboli. Io mi sono ritrovato a fare il presidente a 21 anni. Quando non ci sono più stati i risultati, le pressioni sono diventate insostenibili".

    Nelle intercettazioni compaiono sue telefonate e sms con il capo ultrà Bocia. Era il caso
    "Tenere rapporti con certi personaggi è stato un grave errore, lo riconosco. L'ho fatto per alleviare le tensioni a mia mamma e a mia sorella. Ma da me non hanno avuto favori, non ho mai regalato biglietti o creato "corsie preferenziali". Gli ultrà fanno anche iniziative positive, e questo è lodevole, ma non è che se uno fa beneficenza poi è bravo a prescindere".

    Anche Conte chiamava il Bocia, attaccando giocatori e società.

    "Ha sbagliato, come me, a tenere quei rapporti, ma quelle cose me le aveva già dette. Riteneva che la squadra gli fosse ostile, soprattutto i senatori, soprattutto dopo che lui e Doni si erano messi le mani addosso a Livorno. Conte ha un carattere forte, ma persino lui ha dovuto dimettersi, e questo dice molto... Sono legato ad Antonio, mi ha sempre detto le cose prima che succedessero".

    Anche su Cristiano Doni?
    "Se tornassi indietro non gli farei il contratto, soprattutto dopo avere saputo del calcioscommesse. Ma all’epoca era intoccabile, era troppo influente in uno spogliatoio senza personalità. E pensare che qualcuno ha detto che sarebbe stato il presidente ideale (Percassi al raduno del 2011, n.d.r.)".

    Arriviamo ad aprile-maggio 2010, nei giorni della retrocessione.

    "Ci furono il raid a Zingonia, i volantini, la bomba carta davanti a casa. L’ultima partita dell’epoca, Atalanta-Palermo, non l'ho potuta vedere su consiglio delle forze dell'ordine. Non era mai capitato in dieci anni, neppure quando papà era in fin di vita. Adesso dall'inchiesta scopro che si tramava per fare pressioni sull'anello debole della mia famiglia, su mia mamma e mia sorella. Questo mi fa stare male. A fare il doppio gioco erano anche persone che stavano nel consiglio d’amministrazione. C’erano presunti amici che, con la scusa di venire a trovare papà, monitoravano la situazione, davano consigli "disinteressati" alla mamma. Roberto Spagnolo era l’uomo di fiducia della mia famiglia. Un secondo dopo che abbiamo venduto è diventato direttore generale con Percassi. Non si è mai visto in nessuna azienda al mondo".

    Nell’inchiesta è finito anche un politico, il leghista Belotti.

    "Dice che faceva il mediatore tra ultrà e istituzioni. Mediava così tanto che scriveva volantini contro il questore Turillo e contro il club. Questa persona fino a poco tempo fa era assessore regionale, pagato con i soldi dei cittadini. E poi ci chiediamo perché l’Italia è ridotta così...".

    Avete venduto per paura?
    "Sì, per paura. E non abbiamo venduto a prezzo di mercato. Oltre ad Antonio Percassi c'erano degli stranieri che volevano l'Atalanta, ma non li conoscevo. I tifosi, i politici, persino il giornale cittadino, che non ci ha mai amato, spingevano per Percassi. Ho pensato al bene dell’Atalanta. Guarda caso, dopo la vendita si sono ritrovati tutti uniti. Senza quel clima insostenibile, non avrei mai venduto".

    Il suo futuro quale sarà?

    "Alcuni presidenti mi hanno chiesto di lavorare con loro, qualcuno mi ha proposto di rilevare società in difficoltà. In futuro, forse. Ma mai più in Italia".


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