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  • Seedorf:| E una bordata che fa bene

    Seedorf:| E una bordata che fa bene

    C'è chi se la prende con l'allenatore, sbraitando in modo scomposto verso la panchina perché un compagno di reparto non torna come dovrebbe. E c'è chi dice sempre la sua, con l'autorevolezza di un "curriculum vitae" unico nel suo genere e con l'intelligenza che lo contraddistingue. Lasciamo stare il primo caso, concentriamoci sul secondo: Clarence Seedorf.

    L'olandese è uscito dalla serata di Amsterdam con tre assist dei suoi e una standing ovation del vecchio pubblico. Quella che San Siro non gli regala mai, preferendo bollarlo con bordate di fischi al primo passaggio sbagliato. Manco fosse il primo dilettante allo sbaraglio che si presenta alla "Corrida" e non un signor campione che si esibisce alla "Scala del calcio". Lui, però, dei fischi se ne frega. Evitando di farne un fatto personale, di vendicarsi con l'Arrigo Sacchi di turno, prendendo tutto con la superiorità di chi tira dritto per la propria strada. Sicuro di essere su quella giusta.

    Prendere o lasciare, Seedorf è questo. Un allenatore in campo e una voce unica fuori, come accade spesso ai figli calcistici di Johan Crujff, gente che la pensa in un certo modo e non si dimentica mai di dire le cose come stanno. Dopo il pareggio con l'Ajax non è stato da meno, uscendo allo scoperto con una critica della quale Allegri dovrà per forza fare tesoro: "Non mi è piaciuto il nostro gioco perché abbiamo puntato troppo sulle palle lunghe: in questo caso dobbiamo migliorare. Non si deve fare l'errore di pensare che Ibrahimovic possa risolvere tutto, altrimenti si finisce come quando giocava nell'Inter: specialmente in Champions League".

    Chiaro, no? Un discorso limpido ma soprattutto onesto e lungimirante. Una critica che fa bene a una squadra in pieno processo evolutivo che rischia di adagiarsi su un Ibrahimovic costretto a restare in campo sino all'ultimo secondo. E, come accaduto al fischio finale di Milan-Genoa, di finire vomitando dalla stanchezza (è accaduto, sembra strano ma è accaduto).

    Insomma, Seedorf, uno che sa come si vince (quattro Champions League con tre squadre diverse: Ajax, Real Madrid e Milan) ha voluto far capire che per una sera può andare così - forse anche per due - ma alla lunga bisogna giocare al calcio per imporsi ad alto livello. Specie se sei una squadra come quella rossonera, che ha sempre fatto del possesso palla e della fantasia il proprio punto di forza. Il "deus ex machina" serve per l'episodio, per il titolone. Ma per una Champions League c'è bisogno della squadra. Sia chiaro, le eccezioni esistono. Ma la regola è pur sempre un'altra.

    Seedorf, senza nervosismo, lo ha ricordato a tutti. E ha fatto il regalo migliore a un tecnico ancora inesperto come Massimiliano Allegri. Sull'olandese, in fondo, vale sempre l'episodio che racconta Carlo Ancelotti nella propria biografia. Quando l'olandese arrivò al Milan nell'estate del 2002, il tecnico non lo capì affatto. Non solo a livello tattico, ma soprattutto a livello "diplomatico". Da quando in qua un giocatore se la sente di dire la sua su molti aspetti della gestione della squadra? Poi qualcosa è scattato. Ancelotti ha capito Seedorf e ne ha fatto il proprio allenatore in campo. È anche da questi particolari che si diventa un grande allenatore e non si resta un Hector Cuper qualunque. Allegri è stato avvisato, con un mezzo sorriso.

    Lo stesso che Seedorf ha regalato ai tifosi rossoneri, che non sempre gli rendono giustizia. "Qui ad Amsterdam - ha sottolineato con una battuta - c'era uno striscione che mi ricordava come un eroe. A San Siro per me non ce ne sono mai? No, ce ne sono sempre tanti. Solo che sono molto molto piccoli...".

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