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  • Serie A in sciopero? L'esperto a CM: 'Si rischia di legalizzare il mobbing'

    Serie A in sciopero? L'esperto a CM: 'Si rischia di legalizzare il mobbing'

    • Luca Talotta

    Sciopero dei calciatori, contratto collettivo e quant'altro. La serie A rischia di non partire, ma la situazione, oltre ai paroloni di rito, non è chiara. Per saperne di più Calciomercato.com ha deciso di chiedere un parere autorevole all'avvocato Jean-Christophe Cataliotti, agente FIFA, esperto di diritto sportivo e degli aspetti economico-aziendali legati al mondo del calcio, nonché titolare del corso di preparazione all'esame da agenti Fifa che si terrà a Reggio Emilia a settembre (LEGGI QUI).

     
    Signor Cataliotti, qual è nel dettaglio l’oggetto del contendere?
    E’ ormai cosa nota che il campionato di serie A rischia di slittare se non verrà sottoscritto il nuovo contratto collettivo. Il presidente dell’AIC Damiano Tommasi, infatti, ha precisato che i calciatori non intendono iniziare il campionato senza accordo collettivo firmato. Il nodo da sciogliere sembrerebbe essere ancora quello legato al trattamento dei calciatori “fuori rosa”. Ebbene, a tale riguardo, mi permetto di evidenziare che ai sensi dell’art. 7 del precedente contratto collettivo ormai scaduto, il calciatore aveva diritto a partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato con la prima squadra, salvo il caso in cui l’esclusione derivasse da una precisa scelta sanzionatoria della società. Se venisse disattesa la suddetta norma verrebbe compromessa seriamente la tutela della professionalità del calciatore con il temuto rischio di legalizzare il mobbing nel calcio.
     
    Perché c’è la forte opposizione dei club di serie A?
    Premettendo che il contratto collettivo ancora da sottoscrivere riguarda il trattamento economico e normativo dei rapporti tra calciatori professionisti e Società partecipanti ai campionati nazionali di Serie A e B, è un dato di fatto che il dialogo con la Lega di A risulta ad oggi ancora difficile soprattutto sul suddetto punto dei fuori rosa.
     
    Come mai siamo ancorati ad una legge del 1981?
    Il problema non è la legge 23 marzo del 1981, n. 91 sul professionismo sportivo che ricordiamo ha configurato il calciatore professionista come un lavoratore subordinato, ma la mancata tempestiva attuazione della suddetta legge. L’accordo collettivo, infatti, nasce dall’esigenza di dare attuazione all’art. 4, comma 1, della legge del 1981, nella parte in cui devolve alla contrattazione collettiva la predisposizione del contratto-tipo per la disciplina del rapporto di lavoro del calciatore professionista. Ritengo – visto che impera sui giornali la rivendicazione del diritto di scioperare da parte dei calciatori – che se da una parte si configura il calciatore professionista come un lavoratore subordinato, dall’altra non gli si possa negare il diritto di scioperare, diritto costituzionalmente riconosciuto ai lavoratori subordinati nel mondo del lavoro in generale.
     
    Quali danni economici può portare l’eventuale sciopero?
    Probabilmente tanti, ma penso che il danno più rilevante lo subirebbe ancora una volta l’immagine del calcio italiano, già alle prese con il burrascoso problema del calcio scommesse. Io sono italo-francese e vi posso assicurare che i nostri cugini ci guardano con sospetto. 
     
    Qual è la situazione negli altri Paesi? Solo in Italia manca la firma sul contratto collettivo?
    Sembrerebbe proprio di sì, tanto che lo stesso Tommasi ha recentemente denunciato come “l’Italia è oggi l’unico Paese calcisticamente evoluto nel quale non esistono precise norme contrattuali in vigore per tutti i tesserati”.

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