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  • Sinisa paga per tutti

    Sinisa paga per tutti

    La festa a Firenze ha avuto inizio. La notizia del suo esonero, Sinisa Mihajlovic la sapeva fin dal mattino di ieri, anzi l’annusava già domenica sera quando di ritorno da Verona avrebbe detto ad un tifoso “Io domani vado via, ma…”. La seconda parte della frase, non ha importanza. O almeno, ce l’avrebbe, ma meglio sorvolare per la serenità di tutti. E’ stata resa ufficiale solamente intorno alle 21, ora in cui sono state stappate le bottiglie di champagne. È arrivato Delio Rossi e per la prima volta da quando ci sono i Della Valle  è stata fatta una scelta ‘populista’, la Fiorentina ha ascoltato la piazza, forse perché arrivata al punto di essere intimorita dalla piazza stessa.

    La cosa certa è che Mihajlovic, mai digerito da Firenze, è stato l’unico ad avere avuto il coraggio di affrontare il periodo più difficile della Fiorentina dei Della Valle accettando una panchina che odorava ancora di Prandelli. Il tecnico serbo, che di errori ne ha commessi come tutti (forse qualcuno in più? Ma sarà il tempo a giudicare) ha spianato la strada al tecnico che lo avrebbe succeduto. Ha prima tastato il polso alla tifoseria. Si è attirato tutte le antipatie possibili e immaginabili (alcune anche incomprensibili per certi versi) rendendo una piazza finalmente di nuovo fertile ad una nuova semina. Che cosa significa? È una metafora ovviamente, come quelle che amava tanto Pablo Neruda. Significa semplicemente che ha scelto il momento più difficile possibile, il dopo Prandelli, davanti ad un ambiente deluso, arrabbiato e già demoralizzato per la fine di un ciclo. Il confronto con il tecnico di Orzinuovi sarebbe stato improbo per chiunque, ma lui non ha avuto paura. E c’ha messo la faccia dal primo giorno, fino all’ultimo, fino a quando ha incontrato i tifosi senza scappare. Adesso, dopo una stagione e dieci giornate, lascia la Fiorentina consapevole, da conoscitore del calcio, che l’allenatore è quello che paga per tutte le colpe, anche quelle non sue. L’ambiente e la sfortuna (Napoleone sceglieva i suoi generali in base alla fortuna perché aveva una convinzione: era meglio un generale fortunato piuttosto che uno bravo) sono stati determinanti e influenti sui suoi risultati. Il lavoro martellante e costante di una parte dell’ambiente che aveva come obiettivo il suo allontanamento ha avuto i suoi frutti, un po’ come una goccia d’acqua che cade incessantemente su di una superficie arrivando a corroderla. I risultati, dicevamo, non sono stati dalla sua parte e sono state poche le partite che hanno fatto godere la gente. Ma su di lui c’è sempre stato un giudizio a prescindere. Ora non c’è più e tutti sono sereni, soddisfatti. Soprattutto coloro che hanno lottato e fatto la guerra affinché venisse cacciato. Li vedi belli soddisfatti, come avessero fatto una corsa e finalmente gli venisse consegnata la medaglia. Ma soprattutto come se il problema fosse solo Mihajlovic. La speranza perla Fiorentinaè che sia così. La speranza è che l’unico neo di una squadra senz’anima né carattere fosse proprio il serbo. Se così fosse, allora sarebbe tutto risolto e finalmente potremmo tornare a godere. E magari risalire la classifica fino al terzo-quarto posto. Alla fine, i punti di distacco non sono poi così tanti e il campionato è ancora lungo.

    Ed ecco Delio Rossi. È certamente uno degli allenatori più bravi che ci sono in circolazione, quindi il benvenuto è d’obbligo e scontato e anche sincero. L’augurio è che faccia un buon lavoro e riporti la Fiorentina in Europa. La perplessità è che ce la faccia se non cambia l’atteggiamento e il rendimento di alcuni punti cardine della squadra. E pure se non gira la ruota della sfortuna. Personalmente, siccome sono una donna che non ama stare coi piedi su due staffe e soprattutto che non rinnega mai una sua idea, auguro a Mihajlovic di avere una carriera brillante nei grandi club che sicuramente arriverà ad allenare. E a Rossi di creare un ciclo vincente a Firenze. Del resto, lui parte con i favori della simpatia dell’ambiente e non è poco. Ha tutta la stima e la fiducia della piazza e la possibilità di lavorare con serenità. Nel calcio tutto ciò è fondamentale quasi o di più che avere un grande numero 10. Firenze con l’addio di Sinisa non avrà perso l’allenatore ideale perla Fiorentina, ma un uomo vero. E la squadra ha perso il suo parafulmine.

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