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  • Sirigu: 'Un privilegio essere azzurro con Buffon'

    Sirigu: 'Un privilegio essere azzurro con Buffon'

    PARIGI - In Francia lo chiamano "le parisien". Di parigino Salvatore Sirigu, 26 anni compiuti a gennaio, ha in effetti preso l'accento del suo ottimo francese e l'amore per la città in cui vive dall'estate del 2011, quando il Paris Saint-Germain degli sceicchi qatarioti lo acquistò dal Palermo per 3 milioni e mezzo di euro, sfruttando l'indecisione del Genoa. Da allora il portierino partito ragazzo dalla Sardegna - da La Caletta, un incanto marino sulla strada tra Nuoro e Olbia, dove cominciò a giocare in porta perché i bambini più grandi di lui volevano stare in attacco ("e mia mamma era contenta così, perché avevo un po' d'asma", racconta lui ripercorrendo l'aneddoto)  - ha consolidato il ruolo di azzurro nella Nazionale di Prandelli e soprattutto è diventato il portierone (1,92) del Psg, un punto fermo della squadra più ricca d'Europa. Nella ricca rosa di Ancelotti e Leonardo, tra un Ibrahimovic e un Beckham, un Thiago Silva e un Lavezzi, è uno dei campioni meno reclamizzati. Ma è anche tra i più amati dall'esigentissimo pubblico parigino e tra i più quotati della Ligue 1. Tocca a lui raccontare la mina vagante dei quarti di finale della Champions League.

    Sirigu, tra le otto elette d'Europa sono rimaste due italiane. 

    "Ho capito che cosa intende: la Juve e il Psg, perché noi siamo pieni di gente che ha fatto la storia del campionato italiano e italiani sono il mister e il suo staff. Ma guardi che siamo prima di tutto la squadra di Parigi e che rappresentiamo la Francia".

    Però avete un bel po' di serie A illustre: Ancelotti, Leonardo, Ibra, Thiago Silva, Beckham, Pastore, Lavezzi, Ménez, più voi tre azzurri, lei, Verratti e Thiago Motta.
    "Non c'è solo l'Italia, in questa squadra. Siamo un giusto mix di culture, siamo multietnici: in questo rispecchiamo perfettamente Parigi. Ognuno porta la sua esperienza degli anni passati. All'inizio è stata una difficoltà, perché non è facile unire tante teste. Però arricchisce molto, anche al di là del calcio: ti fa sentire cittadino del mondo. E diverte, crea un bel clima: gli sketch nello spogliatoio, che sembra una babele, non si contano".
    L'obiettivo degli sceicchi del Qatar è impegnativo: riportare il calcio francese sul tetto d'Europa.

    "Si cerca di creare qualcosa di grande e i progressi si vedono ogni giorno. Qui, in un anno e mezzo, abbiamo fatto passi enormi. Non è giusto dire che vinceremo questo e quello, ma di sicuro il campionato è il traguardo primario. Poi siamo ancora dentro la Coppa di Francia. E in Champions siamo la scheggia impazzita, possiamo dare fastidio".
    Però Ibra se l'è presa con tifosi e critica: prima di noi c'era il nulla, ha detto.
    "Per capire la situazione, inquadriamo il contesto. Il parigino è abituato a vivere alla grande, il nostro pubblico è fatto anche di famiglie e vuole sempre lo spettacolo. In più la stampa ci ha messo in condizione di fare pensare alla gente che dovremmo sempre vincere 4-0 con i gol in rovesciata. Così, se ogni tanto fatichiamo in campionato, dove molte avversarie contro di noi hanno il doppio delle motivazioni, arrivano i fischi e le critiche. La critica non è uguale ovunque: quella francese è di un'altra tipologia, rispetto a quella italiana".
    Anche la Juve, qualche settimana fa, è stata criticata prima della nuova fuga.  
    "Io credo che la Juventus sia una tra le squadre più pratiche d'Europa. In Champions non si può preferire un'avversaria a un'altra, però conosco tanti giocatori e posso dire con cognizione di causa che la Juve è un ostacolo complicato per chiunque. Però anche noi, penso".
    Che cosa devono temere, del Psg, le avversarie di Champions?
    "L'entusiasmo e una sorta d'incoscienza, prima di tutto: il Psg, anche se ha giocatori esperti, in fondo è nuovo a livello di Champions League. E poi la fase offensiva, naturalmente. Abbiamo giocatori molto forti davanti, anche fisicamente. Quando attacchiamo in contropiede, sfruttando le loro caratteristiche, possiamo dare molto fastidio".
    Il contropiede è un marchio di Ancelotti: in Champions il suo Milan ha vinto per due volte così.
    "Il contropiede e l'uso del gioco in profondità sono una scelta legata proprio alle caratteristiche dei miei compagni d'attacco e di centrocampo. Un'arma intelligente".
    Può indicare qualche sorpresa, oltre ai soliti notissimi?
    "Per gli italiani, che magari lo conoscono meno, direi Matuidi, nazionale francese: un centrocampista di quantità, molto bravo anche a impostare". 
    Uno da acquistare, quindi: da Ancelotti a Ibra a Verratti il Psg parrebbe un supermercato.
    "Con certe voci devi imparare a convivere. Il Psg dovrà abituarcisi, negli anni: quando hai grandi giocatori e grandi personaggi, tutti li vogliono. Intanto, però, sono tutti qui".
    Lei non ha nostalgia della serie A o comunque non è stuzzicato dall'idea di cambiare?
    "Assolutissimamente no, io a Parigi sto benissimo. E credo che anche la società mi voglia tenere".
    I francesi dicono che lei, tra gli "italiens" veri e d'adozione, sia il più parigino di tutti.
    "Anche se io resto italianissimo, mi fa piacere che dicano che mi sono ambientato, forse perché parlo bene la lingua e perché vivo volentieri in questa città straordinaria, che offre tutto, tranne il clima della mia Sardegna. Ma fondamentale, nella mia vita a Parigi, è Camille, la mia ragazza. Lei è francese, fa l'attrice, vorrebbe lavorare nel cinema. Le piace molto il cinema italiano. Ora le sto cercando i film di Alberto Sordi, mi sembra importante per farle capire meglio l'Italia".
    Cerca "Il presidente del Borgorosso", uno Zamparini ante litteram? 
    "Sto cercando prima di tutto "Il marchese del Grillo": per me è un capolavoro".
    Zamparini, a Palermo, si presentava in conferenza stampa, dicendo che lei non sapeva uscire. 
    "Ma lui è un istintivo, diceva quello che gli passava per la testa in quel momento. In realtà so che mi stima. Mi dispiace per il Palermo: ho ancora tanti amici là. Comunque il campionato non è ancora finito".
    Nella sua carriera la delusione più grande è stata la bocciatura nel provino al Cagliari, da ragazzino?
    "Certo mi sarebbe piaciuto, da sardo, giocare nella squadra che rappresenta la Sardegna. Ma alla fine non mi è pesato più di tanto. Ho fatto il settore giovanile a Venezia, è stata un'esperienza di vita importantissima".
    A Palermo lei fu lanciato da Zenga, che ora è ai margini del grande calcio.
    "Lo sento ancora. Secondo me, ha il carattere e le qualità per allenare una grande squadra".
    Un idolo calcistico, per lei, che al Palermo era soprannominato Walterino. Ha qualche idolo sportivo, fuori dal calcio?
    "Valentino Rossi. Ha accompagnato la mia crescita, con le sue gare fantastiche. Lo vedo più stimolato e mi auguro che, col ritorno alla Yamaha, possa dare il meglio. Vederlo correre è sempre uno spettacolo".   
    Ancelotti invece è un idolo di suo padre, milanista accanito.
    "Io ho scoperto una persona fantastica. Gli piace il rapporto coi giocatori, lavora tantissimo col suo staff per metterci nelle condizioni migliori. La mattina presto è già al lavoro e tu hai la sensazione di essere sempre seguito al meglio. Un giocatore con lui sa di potere dare veramente il massimo".
    Ibra?
    "Un vincente, si impegna sempre come un ragazzo della Primavera. E vuole migliorarsi ancora, incredibile".
    Beckham?
    "Può sembrare un paradosso, ma è molto timido, è una persona veramente semplice".
    Verratti?
    "Un ragazzo divertente, sempre col sorriso sulle labbra: forse non si rende nemmeno conto di quanto sia forte".
    Intanto lei è entrato nella storia del Psg: col record d'imbattibilità, 948', ha superato Lama.
    "A un certo punto era diventato stressante, si parlava solo di quello. Ora ne sono molto orgoglioso, come della Nazionale".
    Da tre anni e mezzo è un vassallo di Buffon.
    "Quella maglia è un privilegio, a prescindere da quanto giochi. Rappresenti un'idea, un paese: per me, un giorno, potere dire di essere stato in Nazionale con Buffon sarà un motivo di fierezza. Cerco di meritarmelo ogni giorno: è un sentimento indescrivibile l'idea di fare parte di questa squadra, così vicina alla gente".
    Merito del codice etico?
    "Anche. E' una regola che ci siamo dati e che va rispettata: il calcio è un mondo di regole, è un esempio per i più piccoli. Il calciatore è un idolo e viene imitato, ha tante responsabilità. I tifosi della Nazionale non sono solo appassionati di calcio. Ci sono anche tante persone che vogliono vederci giocare perché si identificano in noi. Abbiamo perso la finale dell'Europeo, però sentimentalmente abbiamo vinto. Diamo e riceviamo: certi momenti vissuti in Nazionale, anche fuori dalle partite, sono stati unici".
    Quali? 
    "In Calabria, quando ci siamo allenati sul campo confiscato alla 'ndrangheta, e ad Auschwitz, ho fatto due cose che forse da solo non avrei fatto. Abbiamo strappato un sorriso a chi soffre o ha sofferto tanto. E dare è bello quanto e più che ricevere". 
    Com'è l'Italia, vista da Parigi?
    "Ho molte amicizie fuori dal calcio, soprattutto in Sardegna, e vedo un disagio che provoca scoramento. La crisi europea è generalizzata, ma ho la sensazione di un'Italia più depressa. Noi, che all'estero abbiamo la fama di essere un popolo divertente, in questo momento non riusciamo a esserlo. Mi piacerebbe che il nostro paese tornasse vivo e carico di entusiasmo, anche se so che è facile parlare da qui".
    Tra italiani all'estero si parla del boom del grillismo?
    "Alcune cose mi sembrano giuste, altre meno. Il problema è che la politica non sta mettendo al centro le esigenze vere delle persone. Predomina l'accanimento tra i partiti. Gli italiani dovrebbero potere cominciare a decidere del proprio futuro".
    Planiamo sul pallone, per chiudere: il Psg "italiano" può vendicare il Milan? 
    "Se uno per caso arriva a incrociare il Barcellona, a tutto pensa, fuorché a queste cose. Senza tante promesse noi, in questa Champions, pensiamo solo una cosa: di essere una mina vagante".

    Enrico Currò, repubblica.it

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