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  • Greco: 'Quel patto Sensi-Cragnotti e il calcio romano di oggi'

    Greco: 'Quel patto Sensi-Cragnotti e il calcio romano di oggi'

    Lazio, Serie A, ambiente romano e razzismo. Questi solo alcuni dei temi che tratteremo oggi , in esclusiva per MaiDireCalcio.com, con Stefano Greco, giornalista sportivo, autore di numerosi libri sulla storia laziale, tra cui “Vita da Lazio” e “La banda del meno 9″

    Parliamo di un tema che riguarda sia la Roma che la Lazio. L’ambiente calcistico romano vede spesso eccedere le une e le altre tifoserie in una rivalità che spesso sfocia in vera e propria inimicizia e che tu hai definito come una “guerra tra poveri che rappresenta da sempre il vero limite di questa città”. E’ proprio così? E se sì, è una situazione irrimediabile o si può distendere questo clima non certo di pura rivalità sportiva?

    “Ribadisco assolutamente quella frase. La città è vittima di un grave provincialismo. Il leitmotiv di molti tifosi è: “Devo avere un punto sopra di te, il resto non conta”. E’ un derby che si gioca 365 giorni all’anno e che è un freno alle ambizioni delle società. Il derby ora come ora è un fallimento. Io stesso non vado più da molto tempo allo stadio, nemmeno quando la Lazio vinse quattro derby in una stagione (1997-98). Se si può rimediare a questo clima io rispondo che in passato c’è stato un tentativo. Anni fa Franco Sensi e Sergio Cragnotti fecero un’alleanza, un patto per tutelare Roma e Lazio dal grande potere del nord. Il patto poi piano piano si sciolse proprio perchè era mal visto dalle tifoserie. Questa rivalità poi viene costantemente pompata e cavalcata da molte radio e giornali locali, che indottrinano molti tifosi. Creare un clima più disteso è possibile solo se l’iniziativa partisse dalle due società. Fare come Sensi e Cragnotti. Se però i due presidenti, come fa spesso Lotito, continuano a fomentare la rivalità al di sopra dei toni non si va da nessuna parte. Al momento la vedo difficile, ma in futuro chissà…”

    Veniamo ora ai frequenti episodi di razzismo e violenza nei nostri stadi. In che maniera va fermato il razzismo? Cosa ne pensi della discriminazione territoriale e delle ultime misure applicate dalle istituzioni?

    “Bisognerebbe cercare di prendere il diretto responsabile. Con le tecnologie di oggi non è una cosa così difficile da fare. Il razzismo va punito, e su questo non c’è dubbio, ma a volte vedo che non c’è un giudizio equo in questi episodi. Vengono usati due pesi e due misure. La Lazio per esempio paga da tempo la nomea, sopratutto con l’Uefa, di avere una curva di stampo fascista e razzista, ma se una tifoseria, magari considerata di sinistra, assume comportamenti del tipo completamente opposto non sempre viene punita allo stesso modo. La differenza di giudizio non riguarda solo il razzismo. Basti pensare alle misure diverse utilizzate per la morte dell’ispettore capo di polizia Filippo Raciti e quella di Gabriele Sandri, per  la quale non si è nemmeno fermato il campionato. Riguardo alla discriminazione territoriale non vedo rigurgiti di razzismo, ma solo campanilismo e mancanza di cultura. C’è una mentalità retrograda, ma non è una novità. E lo stadio è solo uno dei tanti luoghi dove questi atteggiamenti vengono messi in pratica. Trovo inutile quindi punire gli episodi di discriminazione territoriale. Le stesse istituzioni si stanno accorgendo di aver commesso un passo falso”.

    Capitolo mercato: spesso si privilegiano gli stranieri a discapito di molti giovani italiani che trovano poco spazio. A volte a dettare legge sembrano essere gli agenti dei calciatori. Si guarda più al procuratore che al calciatore, pensi sia così?

    “I procuratori stanno prendendo sempre più piede nel calcio di oggi. Spesso in un mercato vengono presi 4-5 giocatori che hanno lo stesso procuratore, questo fa capire quanto potere abbiano. Molti di questi danno anche problemi alla società, si guardi alle continue dichiarazioni di Raiola che si comporta da padrone verso le società dei suoi assistiti”.

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