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  • Addio a Peirò, l'altro Mago della Grande Inter: il gol al Liverpool nella leggenda VIDEO

    Addio a Peirò, l'altro Mago della Grande Inter: il gol al Liverpool nella leggenda VIDEO

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini


    Per noi ragazzi degli Anni Sessanta, innamorati del calcio, era il personaggio di una filastrocca che cominciava con “Sarti, Burgnich, Facchetti” e che si concludeva con “Peirò, Suarez e Corso”. Musica d’autore per i tifosi dell’Inter. Una sorta di maledizione per tutti gli altri. La squadra nerazzurra del presidente Angelo Moratti era la padrona del campionato italiano e dettava legge anche in Europa. Sulla sua panchina sedeva un mago nato a Buenos Aires da genitori spagnoli, ma in realtà zingaro per vocazione tanto che decise di consumare la sua nella misteriosa e letteraria Casablanca dove, si narra, apprese le arti esoteriche e imparò a leggere le stelle. Helenio Herrera, accorciato in HH come una formula chimica esplosiva, con la sua squadra di campioni ipnotizzò il calcio italiano e divenne leggenda. Fu il mago, appunto, e per sempre. Anche oggi che riposa nel cimitero lagunare di Venezia. Eppure non fu l’unico di quella Inter delle meraviglie.

    Un altro apprendista mago, alla Harry Potter prima maniera, fu Joaquin Peirò. Anche lui spagnolo, ma della Castilla. Se ne è andato oggi, alla ragguardevole età di ottantaquattro anni, dopo aver fornito pagine ricche di ottima letteratura al grande romanzo del calcio. Anche a quello di casa nostra che l’attaccante con i calzettoni alla cacaiola, come Sivori, frequentò per otto stagioni prima di tornarsene all’Atletico Madrid squadra dalla quale era arrivato. A portarlo in Italia era stato il presidente-papà del Torino, Orfeo Pianelli. Lo aveva affidato a Nereo Rocco, allora allenatore dei granata, il quale lo aveva affiancato a Gerry Hitchens un bomber inglese in arrivo proprio dall’Inter. Un mastino grande e grosso, il britannico. Tenace, svelto ma esile lo spagnolo. Erano buffi insieme. Parevano Stanlio e Ollio. Giorgio Ferrini alle loro spalle lavorava anche per loro. Ma per il Toro non era ancora arrivato il giorno del riscatto dopo la tragedia di Superga. Due stagioni e poi Peirò migrò a Milano. Il mago l’aveva voluto.

    Erano gli anni in cui le squadre italiane potevano schierare soltanto due stranieri. Mica come la Babele di oggi. Nell’Inter Suarez era il cervello e il motore. Intaccabile. Il centravanti era Mazzola. Inamovibile. All’ala destra, con il numero 7, Jair Da Costa un brasiliano tutti pepe che aveva vinto i mondiali del 1962 seduto in panchina. La gente lo adorava. Peirò, insomma, avrebbe dovuto faticare per trovarsi il giusto spazio. E quando gli toccò tirò fuori dal cilindro il classico coniglio bianco come un esperto illusionista. Meglio di Silvan il piccolo mago di Castilla. E per di più il suo non fu un trucco. Roba vera. Reale. Un passaggio di turno in Coppa del Campioni che pareva impossibile perché l’Inter in Inghilterra contro il Liverpool le aveva prese di brutto.

    Il “numero” con il quale Peirò diede il via alla remuntada che avrebbe permesso ai nerazzurri di vincere la Coppa (con gol di Jair, peraltro, contro il Benfica) è passato alla storia e lì rimarrà per sempre. Il portiere inglese Lawrence cincischiava perdendo tempo e palleggiando con le mani nell’area piccola. Non si era accorto che, nei pressi, c’era Peirò in agguato come un falco che ha puntato la preda. Ennesimo balza della palla che improvvisamente scompare dalle mani dello sbigottivo numero uno del Liverpool. Peirò, sbucando da dietro, l’ha agganciata con il sinistro se l’è passata sul destro e l’ha piazzata nella rete. San Siro impazzisce. Il mago non è in panchina, questa volta. Il mago è Joaquin Peirò.

    La vita è strana. Neppure certe prodezze servono ad allungarla. Due stagioni appena e poi il castillano migra a Roma nella squadra giallorossa allenato da Oronzo Pugliese. E nella capitale, dove giocherà per quattro anni, chiuderà la sua esperienza italiana per tornare nella sua Spagna ad allenare e a tentare di insegnare ad altri come si possono fare magie con un pallone. La sua, comunque, rimarrà unica e speciale.

    @matattachia
     

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