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  • Al Troia non guardano in faccia nessuno

    Al Troia non guardano in faccia nessuno

    • Ribaldo Saporoso
    Ci sono dei ristoranti che esprimono l’essenza d’una città. Prendete il Sostanza, in Via del Porcellana, a Firenze e assaggerete la fiorentinità, che in cucina si potrebbe riassumere così: una meravigliosa, travolgente semplicità. Bistecca, certo, trippa, ma anche piatti che al semplice suono facevano storcere la bocca a presidenti, allenatori, dirigenti, giocatori stranieri: “Come? Fanno il petto di pollo? E che ci vuole? Il tortino di carciofi poi. Che sarà mai una semplice frittata?” Che sarà? Assaggiateli e non ve li scorderete più. 

    In città, il Sostanza non esiste. Tutti lo chiamano il Troia, un nome che affonda in vaghezze popolari e leggendarie. C’è chi dice che il grembiule del primo oste fosse così sporco da risultare un vero e proprio “troiaio”; chi ritiene che là dove sorgeva una porcilaia (un luogo di porci e troie) fiorì l’osteria.

    Nel 2010 Hoeness (fra l’altro produceva wurstel), presidente del Bayern, telefona al suo amico Branchini e gli chiede di prenotare un buon posto a Firenze, dove si giocava il turno di Champions. Branchini gli descrive qualche piatto del ristorante che ha scelto e quando Hoeness sente “petto di pollo” esclama: “Non sono mica malato! Magari al posto del vino danno la camomilla!” Poi, l’allora Presidente del Bayern avrebbe affrontato parecchie volte, anche da turista, quel morbido cuscinetto di carne avvolto da un manto di burro quasi caramellato, servito direttamente in tegamini ardenti. Valcareggi chiedeva sempre la trippa, mentre Pecci andava in cucina e voleva imparare il segreto del tortino di carciofi a nido d’aquila, cotto direttamente sulle braci, sotto una cappa che si perde nella notte dei tempi. Mario, il cuoco, accettava di rivelare l’arcano, ma in cambio di qualche suggerimento per un 13 al totocalcio. Già, il leggendario tortino… Non una frittata, ma un’eterea e sostanziosa corona di uova che cinge brani di carciofi fritti superbamente.

    Bertoni chiedeva sempre una doppia porzione di meringato alle fragoline di bosco, adducendo la scusa che in fondo aveva mangiato solo un po’ di bistecca. Invano: la dura legge della bilancia lo denunciava incline alla pinguedine. Sulla bistecca, che a Firenze è religione e il Troia ne è tempio, vi fu una vivace discussione con Rui Costa. Il campione portoghese la pretendeva ben cotta. Quando la tagliò e vide il rosso, chiese un ulteriore cottura. “Qui - gli risposero - la bistecca si mangia al sangue. Se la vole bollita se la fa fare da un’altra parte”. Poi Rui Costa aprì un ristorante in un triste posto di Lisbona, all’interno di un centro commerciale, dove però servivano un eccellente baccalà al forno.

    Le pareti bianche sono “piastrellate" come quelle dei macellai, i tavoli in comune, la cucina con le braci ardenti e le pareti annerite è quella di un’antica osteria. Per andare in bagno bisogna attraversarla, passare tra fumi e tegami. La cantina, ben fornita, parla un bel toscano. Marchisio, che veniva da Empoli, un giorno chiese un Barolo. Per risposta ebbe un “Supertuscan”: il Siepi Mazzei. Non disse nulla e gli andò bene (molto) così.

    Gentili, ma inflessibili, cordiali, ma spicci, al Troia non fanno favoritismi. Quando i Della Valle telefonarono per prenotare, fu loro risposto che “con dispiacere” quella sera non c’era posto. I fratelli non la presero bene e non ci misero più piede. Che quel battesimo mancato sia stato il sigillo d’un matrimonio conflittuale tra la Città del Giglio e i germani marchigiani?
    A pensarci bene, ce ne dispiace per loro: non sanno cosa si perdono.
     

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