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  • Allardyce e lo scandalo del 2006: il calcio inglese non ha imparato nulla

    Allardyce e lo scandalo del 2006: il calcio inglese non ha imparato nulla

    • Pippo Russo
    Quello di Allardyce è stato l’esonero più veloce della storia. Non tanto se si guarda alla permanenza in panchina (67 giorni, c’è chi è durato molto meno), quanto prendendo in considerazione il lasso di tempo trascorso fra l’esplosione della crisi e la decisione di sollevare l’allenatore dell’incarico. Si è trattato di ore. E questo ha fatto sì che molti commentatori italiani prendessero a modello la risolutezza della Football Association, specie se paragonata all’inclinazione verso il compromesso tipica delle istituzioni calcistiche italiane. Un paragone superficiale, per molti motivi. Il primo fra questi sta nel fatto che è inutile perder tempo a paragonare la realtà calcistica italiana coi buoni esempi (veri o presunti) provenienti dall’estero. È un esercizio sterile, avremo sempre la peggio. Da noi c’è Tavecchio presidente, basta la parola. Ma sono tanti altri i motivi che segnalano quanto il calcio inglese sia in uno stato di amoralità, e perciò in nessun modo da prendere a esempio. Il licenziamento in meno di ventiquattro ore del CT corruttibile è soltanto un provvedimento che interviene a danno compiuto. Ma nulla era stato fatto per evitare che quel danno avvenisse, benché vi fossero tutti gli indizi che potesse avvenire. Illustro a seguire i tre elementi d’analisi maggiormente significativi che la vicenda lascia in eredità. Tutti quanti convergenti nell’indicare quanto l’Inghilterra del pallone sia vittima del suo stesso gigantismo economico-finanziario, e di come abbia sacrificato il senso della legalità sull’altare del business.

    Punto numero 1: la scellerata nomina di Allardyce – La scelta di assegnare la panchina della nazionale inglese a Allardyce è stata eccezionalmente stolta. E non tanto perché si stia parlando di un allenatore mediocre, quanto perché questo signore era già stato lambito da uno scandalo di corruzione calcistica. È successo esattamente dieci anni fa, e in quel caso a denunciare il marcio del calcio inglese fu un programma della BBC, “Panorama”. La puntata intitolata “Undercover – Football’s dirty secrets”, mandata in onda a settembre 2006, mostrava un devastante livello d’illegalità e connivenza nel calcio inglese. Usando il metodo delle riprese con telecamere nascoste, i giornalisti illustrarono un Mondo di Mezzo del calcio inglese che vedeva l’incontro di allenatori, agenti e dirigenti di club, tutti pronti a spartirsi tangenti sui trasferimenti di calciatori. In quell’occasione il nome di Allardyce venne fatto da due agenti (Teni Yerima e Peter Harrison), ripresi separatamente e a loro insaputa. Entrambi dissero che l’allora allenatore del Bolton avesse percepito tangenti su trasferimenti di calciatori, e che il denaro fosse passato per le mani di Craig Allardyce, figlio di Bruce e a sua volta agente di calciatori. Allardyce negò ogni addebito e minacciò di querelare la BBC, rinunciando poi all’azione legale perché avvertito del fatto che essa avrebbe richiesto tempo e denaro. Ma le perplessità sulla sua posizione e su quella del figlio Craig vennero confermate dal rapporto d’inchiesta stilato da Lord Stevens. Costui è stato un alto dirigente della polizia britannica, passato poi al settore privato dove ha accettato la proposta di Quest, un’agenzia specializzata in investigazioni e servizi integrati della sicurezza. Da pubblico ufficiale, Lord Stevens condusse l’inchiesta sulle violenze dei corpi paramilitari del Regno in Irlanda del Nord e sulla morte di Lady Diana, Da presidente della Quest portò avanti l’inchiesta sulla corruzione nel calcio inglese, consegnando a giugno 2007 un rapporto che si proponeva come il primo passo di un lavoro investigativo a più ampio raggio. Commissionato dalla Football Association, quel rapporto è stato insabbiato e non ha prodotto alcuna conseguenza. Ovviamente non c’è stata nessuna seconda fase delle indagini. E Sam Allardyce ha potuto continuare a allenare, senza che qualcuno avesse da dire sulla sua nomina a CT della nazionale. Va aggiunto che, prima di Allardyce, un altro allenatore toccato dallo scandalo del 2006 era stato dato come candidato per la panchina dei Tre Leoni: Harry Redknapp, che nel quadro di quell’inchiesta è stato pure arrestato. Provvedimento, invero, eccessivo.

    Il senso dell’impunità – Dieci anni dopo essere uscito a malapena indenne da uno scandalo nato grazie alle riprese effettuate con telecamere nascoste, Sam Allardyce si vede distruggere la carriera perché parla liberamente mentre una telecamera nascosta lo riprende. Delle due l’una: o quest’uomo è eccezionalmente stupido, o pensava di godere dell’impunità. Probabile siano vere entrambe le ipotesi. E probabile che lo siano anche nel caso di tutti gli altri personaggi pizzicati a chiacchierare a ruota libera coi giornalisti del Daily Telegraph: Jimmy Floyd Hasselbaink, attualmente allenatore del Queens Park Rangers; Tommy Wright, vice allenatore del Barnsley, e l’ineffabile Massimo Cellino, proprietario del Leeds. Pronti a parlare liberamente e disinvoltamente del modo in cui si può fare commerci opachi sfruttando il loro ruolo nel calcio. A fare specie è che tutti costoro si allarghino in chiacchiere con interlocutori di cui praticamente non sanno nulla, e che infatti successivamente si sono rivelati essere cosa diversa rispetto a come si erano presentati. Questo ci dice che il livello di stupidità/impunità ha abbondantemente superato nel calcio inglese il livello di guardia, e che la forza del denaro ha un potenziale di seduzione davanti al quale molti suoi soggetti smarriscono anche l’elementare senso della prudenza.

    La vergogna delle TPO – E in tutto questo c’è anche la vergognosa questione delle tattiche per aggirare il bando alle TPO/TPI. Ne parlano i loquacissimi Allardyce e Cellino, convinti d’essere al riparo da orecchie indiscrete. Ciò che emerge dalle parole dei due chiacchieroni è che ci si mette poco a rendere sterili i divieti, anche in un paese come l’Inghilterra dove TPO e TPI sono da sempre proibite, e che nel 2008 ha ulteriormente inasprito le regole in materia. Ciò che, per esempio, non ha impedito al Manchester City di acquisire nell’estate 2014 dal Porto il difensore francese Eliaquim Mangala, i cui diritti economici erano notoriamente controllati per il 33,33% da Doyen Sport Investments e per il 10% dalla Robi Plus riconducibile a Luciano D’Onofrio. In fondo – è stato l’argomento a giustificazione – il Manchester City ha pagato 40 milioni di euro al Porto, e cosa abbia poi fatto il Porto con quei soldi non sono affari del Manchester City. E con questa botta d’ipocrisia la storia si è chiusa lì, con tanti saluti al bando su TPO/TPI.

    In questo senso, lo scandalo di questi giorni e il suo collegamento con quello del 2006 suonano come un contrappasso. Quando a settembre di dieci anni fa la BBC scoperchiava il verminaio, tutto avveniva nelle stesse settimane in cui cominciavano a montare le polemiche sul caso Tevez-Mascherano, approdati al West Ham il 31 agosto 2006 via Media Sports Investments, fondo d’investimento con sede legale presso le Isole Vergini Britanniche. D’improvviso l’Europa scopriva la formula delle TPO, che fin lì era stata cosa soltanto sudamericana, e al massimo si sviluppava alla chetichella in un paese europeo periferico come il Portogallo. Ma chiamata a reprimere quella pratica, la Premier League prese una decisione che tuttora grida vendetta. Riconosciuto colpevole d’irregolare tesseramento, il West Ham avrebbe dovuto essere punito con una penalizzazione in classifica relativamente al campionato 2006-07. E ciò avrebbe comportato la sua retrocessione. Ma la Premier League preferì applicare una sanzione pecuniaria record (5,5 milioni di sterline, corrispondenti a oltre 8 milioni di euro). Il motivo di questa decisione era dato dal fatto che durante la stagione il West Ham avesse cambiato proprietà, e che in nuovi padroni islandesi avessero compiuto un enorme sforzo finanziario nell’acquisizione. A giudizio della Premier League, punire i nuovi (e munifici) proprietari per una violazione regolamentare commessa dalla vecchia proprietà sarebbe stato iniquo, oltreché dannoso per il loro impegno economico. E da ciò è derivata una grande lezione su cosa sia davvero diventata la Premier League nell’epoca del Big Business: messa davanti all’alternativa fra il rispetto delle regole e la tutela dell’investimento finanziario, la NBA del calcio ha scelto il secondo. L’economia e la finanza vengono prima dello sport. Col risultato – e questa è un’opinione personale – che da allora la Premier League è un campionato falsato. Perché c’è una squadra (il West Ham) che secondo le regole dello sport avrebbe dovuto retrocedere, e che invece da allora è sempre stata nel massimo campionato inglese a eccezione di una stagione, continuando a beneficiare di tutti i vantaggi connessi. E c’è un’altra squadra (lo Sheffield United) che secondo le regole dello sport avrebbe dovuto salvarsi, e che invece da allora è sprofondata in seconda e poi in terza divisione, senza più riuscire a risollevarsi. Tutto ciò per dire che nella battaglia contro le TPO/TPI il calcio inglese è stato inflessibile soltanto a parole. E il nuovo scandalo di questi giorni, dieci anni dopo quello svelato dalla BBC e il caso Tevez-Mascherano, ne certifica definitivamente la bancarotta etica.
    @pippoevai

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