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  • Arbitri: ora Bergamo le fischia a tutti
Arbitri: ora Bergamo le fischia a tutti

Arbitri: ora Bergamo le fischia a tutti

  • L.C.
Ad otto anni dallo scandalo che gli ha stroncato la carriera l’ex arbitro livornese Paolo Bergamo torna a fischiare. Deciso, netto, senza guardare in faccia nessuno. Calciopoli? «L’ho ribattezzata Farsopoli. Tutto nato in casa Agnelli». Il presidente attuale degli arbitri Marcello Nicchi? «Presuntuoso, arrogante e tecnicamente modesto». Gli arbitri attuali? «Scarsa personalità. Il migliore è il fiorentino Rocchi». Il ct della nazionale Prandelli? «Un modesto giocatore ieri, un modesto allenatore oggi». I mali del calcio? «I procuratori dei calciatori e la vendita delle società a mecenati stranieri». A restituire il fischietto a Bergamo ci ha pensato, nel dicembre scorso, la Corte d’appello di Napoli che nel processo per Calciopoli ha condannato i protagonisti dello scandalo - da Moggi a Pairetto -, ma ha annullato la sentenza di primo grado per Bergamo. «Un annullamento che equivale a un’assoluzione perché il nuovo processo sarebbe previsto tra un anno. Il caso andrà in prescrizione ancor prima di tornare in aula», gongola Bergamo in un'intervista concessa a Il Tirreno. La prescrizione non equivale all’assoluzione, ma tant’è. «Aspettiamo di leggere la sentenza», taglia corto l’ex designatore dei fischietti. Non è il tempo delle disquisizioni giuridiche. Conta il risultato: «Zero condanne dalla giustizia sportiva e zero condanne dalla giustizia ordinaria», sintetizza l’ex arbitro. Fine di un incubo durato otto anni, che gli ha procurato un’infarto e il licenziamento dal lavoro di assicuratore, come Bergamo racconta nel libro, Sono morto in una notte di luglio, edito da Erasmo, dedicato ai genitori Ruggero ed Amelia. «Una famiglia contadina che ha insegnato a me ed a mio fratello Luca come bene primario quello dell’onestà. Ho voluto con questo libro confermare loro che sono rimasto sempre lo stesso», spiega. Quella telefonata di maggio. Tutto è cominciato nel maggio del 2006. Squilla il cellulare. E’ il direttore della Figc, la federazione gioco calcio. Voce impostata, agitata: «Paolo, una terribile notizia: ti accusano di associazione a delinquere con Moggi, Pairetto e altri per aver favorito la vittoria del campionato 2004/2005 della Juventus». Bergamo cerca di capire, annaspa nel vuoto della mente, poi si mette a piangere come un bambino. Sì, proprio lui l’arbitro che non aveva paura a fischiare, ad alzare il cartellino rosso, ad annullare gol, come quello del romanista Turone, in Juventus e Roma, campionato del 1983, ricordate? (Trentadue anni dopo è venuto fuori che Bergamo aveva ragione). «Io dentro di me sapevo di essere innocente, ma so che il tarlo del sospetto e del dubbio si sarebbe insinuato anche nelle persone più care», racconta l’ex arbitro, tra pile di documenti dei suoi processi, tenuti insieme da lacci rossi. Licenziato in tronco. All’improvviso avverte il mondo crollargli addosso. Un arbitro che trucca le partite è come un giudice che vende per soldi assoluzioni e condanne. Reato infame. Lui, l’arbitro comunista nella Livorno rossa, gli amici che sparlano, e si allontano o guardano dall’altra parte, quando lo incrociano....

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