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  •  Atalantamania: ce l’hanno con Gasperini, ma quando Lukaku disse…

    Atalantamania: ce l’hanno con Gasperini, ma quando Lukaku disse…

    • Marina Belotti
    Si potrebbe pensare che in un clima e in un climax di ansia, angoscia e paura che ha sconvolto i ritmi frenetici della società 2.0(20), gli uomini sodalizzino tra loro. Niente di più sbagliato, o meglio, nella maggioranza dei casi per fortuna accade proprio così, ma nel mondo del calcio non sempre prevale il buon senso. Lo testimonia la dura polemica sollevatasi l’indomani delle dichiarazioni di mister Gian Piero Gasperini, non solo da parte del Valencia, ma da intere orde di sportivi, che sembra non aspettassero altro per puntare il dito contro un tecnico così vincente da dar fastidio. Eppure, se a sganciare una bomba è il traino dell’Inter, ecco che la miccia si spegne nel giro di poche ore. I soliti due pesi, le solite due misure.
     
    LUKAKU DIXIT- Una premessa, doverosa: allora l’attaccante dell’Inter Romelu Lukaku non parlò mai chiaramente ed esplicitamente di coronavirus, ma di malessere e influenze. Vi ricorda qualcosa? “Il giorno prima della partita stavo male, il pomeriggio della partita peggio”. Avete per caso letto tra le righe di Gasperini la parola Covid, febbre o mancanza di ossigeno? Mentre nel tu per tu in Instagram con Kat Kerkhofs, Lukaku disse: “Abbiamo avuto una settimana libera a dicembre. Siamo tornati e, giuro, che 23 giocatori su 25 erano malati. Non è uno scherzo”. Prima Milan Skriniar, costretto a lasciare il campo contro il Cagliari, poi lo stesso Lukaku che si sente caldo, seguito a ruota da Stefan De Vrij, Danilo D’Ambrosio e Alessandro Bastoni. Che fine hanno fatto gli altri 18 malati? Non si saprà mai, perché “Non abbiamo mai fatto test per il Covid-19 in quel momento, quindi non lo sapremo mai con certezza”. Ha fatto semplicemente due calcoli la punta che dà del tu alla porta nerazzurra (il periodo di incubazione del virus può superare i 14 giorni), ma nessuno l’ha condannato per quello che ha fatto trapelare. Giustamente tra l’altro, perché a gennaio ancora non si sapeva nulla e per molto tempo non si sarebbe saputo, perché a parlare col senno di poi sono tutti bravi e perché i sintomi sono equivocabili. Troppo labile il confine, a maggior ragione nei soggetti giovani, tra influenza di stagione e pandemia mondiale. ‘Sorpresa’ e, al massimo, ‘irritata’, la società interista, che ha messo tacere velocemente il tutto senza alcuna polemica pubblica, dopo un lieve buffetto al diretto interessato. Il Cagliari accolse solo ‘con stupore’ le sue dichiarazioni e se ne dimenticò presto e la stessa Atalanta, che affrontò l’Inter l’11 gennaio, non disse ‘A’. 
     
    MA È IL GASP SULLA GRATICOLA- E invece, puntuale, attorno all’allenatore dei bergamaschi, scoppia addirittura un ‘caso Gasperini’. Sembra assurdo anche a livello cronologico ma proprio dopo quaranta giorni esatti, una simbolica quarantena, arriva un’altra confessione shock che si trascinerà per giorni. Nonostante il tecnico di Grugliasco rimanga generico sul suo malessere- mentre Lukaku era sceso in pericolosi particolari, “tutti tossivano e avevano la febbre”- è all’allenatore dell’Atalanta che si punta il dito contro. Immaginatelo a 62 anni, all’apice della sua carriera, a poche ore dalla partita più importante della storia dell’Atalanta. E chi, come lui stesso ammetterà, non avrebbe avuto una bella faccia in panchina? Per di più con l’incubo che stava già imperversando nella bergamasca, e i pensieri costanti rivolti a famigliari e amici lontani. Tanto che, a fine partita e con la tensione alle spalle, lo si vede sorridente a ballare nello spogliatoio. Solo a maggio con il test sierologico, mister Gasp- come Lukaku, del resto- ha fatto 2+2 e ha supposto, senza esserne sicuro, che magari quel virus lo covava già a Valencia. Mai l’avesse detto: Twitter è esploso contro di lui, durissimi i commenti, ancor di più le offese, in Spagna si è mossa persino l’assessora alla Sanità della Comunità Valenciana ed è stata tirata in ballo la Uefa. 
     
    CHE PARADOSSO- Già, peccato che quella stessa notte del 10 marzo, dopo aver riempito le strade in migliaia per le Fallas, i valenciani si ammassassero fuori dall’impianto a fare il tifo. Una brutta storia che insegna, ancora una volta, che in un mondo dove sono tutti giudici, medici e allenatori, non ha importanza cosa si dice, ma chi lo dice. E se a parlare, con fin troppa ingenuità e schiettezza, è il vincitore della Panchina d’Oro, ecco i leoni da tastiera pronti a ruggire. Peccato, un’altra occasione persa per stare in silenzio. Esattamente come fatto, chissà perché, nel post-Lukaku.

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