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  • Atalantamania: la granata di Ilicic vale i tre punti

    Atalantamania: la granata di Ilicic vale i tre punti

    • Marina Belotti
    Sì, 3 punti in 3 partite però: dopo le trasferte sofferte a Napoli, Genova, Udine e Milano, l’Atalanta torna a un risultato positivo tra le mura nemiche. Eppure, al triplice fischio di Tagliavento, resta l’amaro in bocca: le granate sui granata potevano portare a una vittoria che avrebbe smosso una classifica incolore. La fame di Ilicic e compagni, ritrovata dopo la storica trasferta a Liverpool, valeva più di un gol, valeva più di un punto. Eppure, nonostante tutto, la Dea è ancora bloccata lì: è il sesto 1-1 in cui incappa.

    UNO PARI- Palla al centro. Quello per l’Atalanta agli 1-1 è un vero e proprio abbonamento con tanto di arretrati consegnati, specie in trasferta: Lione, Cipro, Verona (Chievo), Firenze, Torino. Persino con la Spal allo stadio bergamasco. Il pareggio di misura è lo specchio del gioco della banda di Gasp: un tempo grandi, un tempo piccoli, un tempo padroni del campo, un tempo schiavi asserviti al gioco degli avversari, un gol lo incassiamo, un gol lo firmiamo. Questa volta l’autografo è una sigla in rimonta e va bene così: la storia insegna che è meglio giocare bene i secondi 45’, piuttosto che partire a mille e spegnersi in ripresa. Gasp ha detto che “è difficile giocare 90’ in spinta, anche per il peso degli avversari. È normale giocare un tempo bene e uno meno”. E se deve esserci a tutti i costi una scelta (come tra Coppa e campionato), l’opzione del recupero nel dopo break è la migliore. Ora serve andare oltre, oltre un tempo, oltre un gol: con i minuti di recupero che estendono ogni ripresa, si può e si deve puntare a qualcosa in più. 5 vinte, 5 pareggiate, 5 perse: un equilibrio da spezzare aumentando l’asticella.

    GARA CALDA(RA)- Perché al momento manca un quid. Se i nerazzurri giocano in spinta solo 48’, allora devono dare tutto in quei 48’ minuti, anche l’anima. Quella di Berisha nei tuffi che negano la gloria a Belotti e a Ljajić, dove entra in rete per salvare la pelle: si sa, il Toro non capisce più niente con un manto rosso innanzi e l’estremo difensore proprio di quei colori è vestito; se non è provocazione questa…E quel fango sul volto di Gomez a fine partita, segno di lotta senza vincitori: una sfera incastrata e rimasta dietro, un fuorigioco che avrebbe portato a un rigore sicuro. E poi la corrida di Petagna che corre e cerca gli spazi per l’area piccola, finché individua Ilicic per il quarto assist stagionale. Hateboer che si inserisce, Toloi che scorna e salvaguarda la linea di porta. Mentre Caldara no, va bene solo su Belotti: prima concede il corner e poi, sugli sviluppi dello stesso, ingenuamente perde ‘Nkoulou che ce la mette proprio lì, in rete. Forse non è solo questione di tempi giocati, ma di chi è più in partita o meno.

    RISCHIO AL FISCHIO- E all’inizio del primo tempo nessuna delle due compagini lo era. Il baricentro alzato un miraggio, le uniche a salire le bandierine degli assistenti arbitrali: la palla che esce continuamente, il gioco che rimane fissato a centrocampo, lontano dal centro dei pali, la palla che vola invece che stare a terra. Kurtic che la sbaglia di testa quando c’è l’occasione, la difesa confusa dove ognuno fa per sé e, purtroppo, alla fine non fa per tre: se nell’attacco si gioca di sguardo, nella difesa si spegne l’intesa. L’errore di non correggere un primo tempo del genere, accontentandosi di giocare divinamente il secondo, alla Dea può costare caro: giovedì arriva il Lione e lunedì sera sarà la volta di Marassi, un campo ostico. Perché è lì che dopo un primo tempo splendido come il secondo di ieri, le abbiamo prese, e tante. Del resto, la matematica non è un’opinione e nemmeno la geometria: per inquadrare la retta via, bisogna far bene 90’.
     

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