Baresi simbolo di un calcio (e di un Milan) che non c'è più. Ma Donnarumma può emularlo

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Franco Baresi compie 60 anni e, nel giorno in cui il mondo tutto celebra uno dei più grandi difensori della storia e quello milanista festeggia uno dei suoi totem e simboli di fedeltà assoluta, guardare ai simboli del calcio di oggi genera sensazioni e sentimenti diversi, non così forti, non così intensi. Colpa dei troppi soldi che hanno iniziato a circolare con eccessiva facilità - direbbe qualcuno - finendo per trasformare questo gioco soprattutto un business e rendendo obsoleti concetti come lo spirito di appartenenza e l'attaccamento alla maglia.
TUTTO CAMBIA - Ne è un esempio pure il Milan di oggi, che molto ha cambiato nell'ultimo decennio, dalla fase crepuscolare dell'era Berlusconi all'attuale gestione Elliott passando per la brevissima parentesi cinese. E molto cambierà nei prossimi mesi, con la scelta di affidare il nuovo progetto tecnico caduta su un rivoluzionario come Rangnick: nuovo allenatore, nuovi dirigenti, nuovi giocatori, con un ritmo talmente frenetico che non concede ai tifosi il tempo di affezionarsi. Se persino un emblema dell'ultimo grande Milan, Ibrahimovic, sembra destinato al secondo e definitivo addio e un rappresentante della "vecchia guardia" come Bonaventura è in scadenza di contratto, gli elementi di continuità rispetto al passato recente rischiano di essere soltanto Alessio Romagnoli e Gianluigi Donnarumma.
IL CONSIGLIO DEL CAPITANO - Baresi, che scelse di restare nonostante due retrocessioni in Serie B e anni di mediocrità prima dell'avvento della grandeur berlusconiana, si è espresso in modo chiari: "Se fossi in lui, non esiterei a rimanere". Un consiglio paterno a un ragazzo chiamato a decidere a breve il suo futuro, diviso tra la volontà di rinnovare il suo legame con la squadra che ha scommesso su di lui e il legittimo desiderio di rincorrere le proprie ambizioni. E il Milan di oggi può anche essere visto come un freno alle aspriazioni personali. Ecco perché uno come Baresi, nella sua immensità, rischia di essere sempre più un simbolo di un calcio (e di un Milan) che non esiste più.
TUTTO CAMBIA - Ne è un esempio pure il Milan di oggi, che molto ha cambiato nell'ultimo decennio, dalla fase crepuscolare dell'era Berlusconi all'attuale gestione Elliott passando per la brevissima parentesi cinese. E molto cambierà nei prossimi mesi, con la scelta di affidare il nuovo progetto tecnico caduta su un rivoluzionario come Rangnick: nuovo allenatore, nuovi dirigenti, nuovi giocatori, con un ritmo talmente frenetico che non concede ai tifosi il tempo di affezionarsi. Se persino un emblema dell'ultimo grande Milan, Ibrahimovic, sembra destinato al secondo e definitivo addio e un rappresentante della "vecchia guardia" come Bonaventura è in scadenza di contratto, gli elementi di continuità rispetto al passato recente rischiano di essere soltanto Alessio Romagnoli e Gianluigi Donnarumma.
SPARTIACQUE GIGIO - Il primo, capitano, che ha deciso di sposare due volte i colori rossoneri, quando Mihajlovic lo sponsorizzò dopo averlo plasmato alla Sampdoria e quando rinnovò il suo contratto nel bel mezzo di una gestione cinese avvolta sin dall'inizio da mille incognite. Il secondo è l'ultimo gioiello cresciuto nel settore giovanile, il personaggio che può essere da spartiacque tra il Milan di una volta e quello nuovo, costretto per l'ennesima volta a ripartire da zero per provare ad essere di nuovo grande. Se resterà, prolungando il contratto ancora una volta, sarà una garanzia in più delle ambizioni di Elliott, in caso contrario un duro colpo alle ambizioni del club.
IL CONSIGLIO DEL CAPITANO - Baresi, che scelse di restare nonostante due retrocessioni in Serie B e anni di mediocrità prima dell'avvento della grandeur berlusconiana, si è espresso in modo chiari: "Se fossi in lui, non esiterei a rimanere". Un consiglio paterno a un ragazzo chiamato a decidere a breve il suo futuro, diviso tra la volontà di rinnovare il suo legame con la squadra che ha scommesso su di lui e il legittimo desiderio di rincorrere le proprie ambizioni. E il Milan di oggi può anche essere visto come un freno alle aspriazioni personali. Ecco perché uno come Baresi, nella sua immensità, rischia di essere sempre più un simbolo di un calcio (e di un Milan) che non esiste più.
abbiamoscherzato, i miei primi ricordi di un Mondiale (a dir il vero era ancora Coppa Rimet) risalgono al 1962 in Cile. Ero un bambino di 12 anni ma ricordo quel fallo su David in Cile-Italia che venne trasmesso in TV. A dire il vero preferivo il ciclismo fin dalla seconda metà degli anni 50. Il mio idolo era Charly Gaul e Anquetil mi era antipatico. Per carità in Italia aveva campioni di spessore come Nencini, Baldini, Balmamion. Ho divagato e ti chiedo scusa. Tornando al calcio ho seguito il Mondiale (ancora Coppa Rimet) del 1966. L’ho seguita solo in parte visto che avevo solo 16 anni e pensavo più a leggere libri per studiare che non il calcio o il ciclismo. Per quel che ricordo per le partite che ho visto in TV una grande Ungheria e un’ottima Germania. Ricordo ancora che fummo eliminati nel girone da un coreano che fece un gol in una partita fondamentale e fummo eliminati. Ricordo che il CT era Edmondo Fabbri che aveva fatto sfaceli nelle qualificazioni. Solo dal 1970 ho seguito tutto La Coppa Rimet visto che veniva assegnata alla Nazionale che avesse vinto 3 edizioni. Italia-Brasile erano 2-2. Poi sappiamo come è finita. Avevamo un’ottima squadra ma quel Brasile continuo a ritenere che fosse imbattibile.
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