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  • Mennea, i fratelli contro la moglie di Pietro: 'Falsa la firma sul testamento'

    Mennea, i fratelli contro la moglie di Pietro: 'Falsa la firma sul testamento'

    Giallo sull’eredità della leggenda dell’atletica italiana, Pietro Mennea. I tre fratelli del velocista mondiale dei 200 metri, Enzo, Luigi e Giuseppe, hanno impugnato il testamento dell’atleta, morto il 21 marzo scorso, in quanto ritengono che l’atto olografo non sia stato stilato dal primatista barlettano. Nel testamento, redatto nove giorni prima della morte, l’atleta azzurro nominava sua erede universale la moglie Manuela Olivieri. 

    «Mio fratello - spiega Enzo Mennea, uno dei tre fratelli - era ammalato, si sottoponeva alla terapia del dolore e gli venivano somministrati farmaci potenti, sia per la terapia contro il cancro, sia per sedarlo. Non ci vuole una laurea medicina, anche uno studente al primo anno sa che una persona in quelle condizioni non ha né la capacità né la forza, né la lucidità di scrivere e di farlo in modo fluente». E poi non lascia spazio ad equivoci Enzo Mennea: «Quel testamento - dice - è falso, non l’ha scritto mio fratello». 

     
    A supporto di questa tesi, i tre ricorrenti hanno chiesto l’ausilio di un esperto che ha compiuto un esame grafologico sul testamento, dopo averlo visto e letto. L’erede universale indicato dal testamento è la moglie di Pietro Mennea, Manuela Olivieri, inoltre la grafia, secondo Enzo, non è quella di suo fratello Pietro. «È stato per questo che abbiamo voluto sincerarci del fatto che a scrivere fosse stato Pietro - aggiunge - perché ci sono troppe discrepanze». E spiega: «Io conosco la scrittura di mio fratello, non sono un grafologo, un esperto, ma quando ho visto il testamento era chiaro che qualcosa non andasse, Pietro certe volte non puntava le “i” e quando scriveva il numero 1 non ci metteva un trattino come base. È stato per questo che abbiamo fatto fare una perizia».

    «Sia chiaro - conclude Mennea - che noi non accusiamo nessuno, i rapporti con nostro fratello erano buoni e vogliamo solo capire se è stato commesso un reato e siamo fiduciosi nel lavoro della magistratura». 

     


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