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  • Berlusconi ha bisogno di un Boniperti
Berlusconi ha bisogno di un Boniperti

Berlusconi ha bisogno di un Boniperti

  • Marco Bernardini
A ciascuno di noi, lungo il percorso di un’intera esistenza, capita prima o poi di dover fare i conti con un personalissima Waterloo. E non occorre essere Napoleone Bonaparte per dover ricordare il giorno del declino e delle ossa rotte. Reagire è doveroso. Specialmente se si possiedono la capacità e la possibilità di rimettersi in piedi. Come diceva il maestro elementare alla tivvù in bianco e nero non è mai troppo tardi.

L’ho già detto mille volte. Mai stato un berlusconiano. Non in senso politico, perlomeno. Il Milan, poi, al pari delle altre squadre che non fossero la Juventus o la nazionale italiana, ha sempre rappresentato un’avversaria da rispettare, ma soprattutto da battere. Ribadito il “teorema del tifoso”, devo confessare di aver provato un certo imbarazzo nel vedere e nel sentire il popolo rossonero inveire contro il presidente e i suoi delfini in maniera così prepotente invitandolo persino alle dimissioni.

Non vi è dubbio che il regno del Milan, mai come in questo momento e dopo trent’anni di oligarchia berlusconiana, stia attraversando un momento di crisi spaventosa che per qualcuno sarebbe addirittura irreversibile. Non siamo ancora arrivati al “clou” del dramma rossonero sulla falsariga della celebre Maria Antonietta la quale a chi le diceva che la gente di Francia aveva fame lei rispondeva di darle dei croissant, ma poco ci manca. La rivoluzione è alle porte della Bastiglia milanista e lo stesso Berlusconi da buon conoscitore della Storia sa perfettamente come potrebbe andare a finire. Eppure proprio la storia, quella del calcio, dovrebbe venirgli in soccorso e suggerirgli le mosse adeguate per evitare la disastrosa Waterloo.

Mai nessun altro ha resistito nel calcio così a lungo come l’attuale presidente del Milan. Soltanto una società non è mai passata di mano. La Juventus degli Agnelli la cui preservazione da invasioni più o meno barbariche è sempre stata garantita dall’impegno ereditario della Famiglia. Cosa sulla quale, putroppo per lui, Berlusconi non può fare affidamento. Anche per la società bianconera, comunque, non sono state sempre rose e fiori. Ci fu addirittura un periodo di anonimato in cui la Signora si ritrovò ad un passo dalla retrocessione per demeriti sportivi e non per strategie di malaffare. Il presidente era Vittore Catella, un politico esponente del Partito Liberale, che per raccogliere consensi elettorali inventò uno slogan buono per la reclame di un detersivo: “Vuoi Una Juve più bella? Vota Catella”. Va da sé che la città operaia di Torino (anche quella bianconera degli operai-terroni della Fiat e della Fiom) gli preferì quel giovane sardo che parlava semplice e che, nel 1972, sarebbe diventato segretario del PCI di nome Enrico Berlinguer. E’ vero che, sotto Catella, la Juventus riuscì a vincere uno scudetto ma il  suo potere sportivo rispetto, per esempio, all’Inter era imbarazzante. Tutto questo, per nove stagioni, sino al giugno del 1971.

“Giampiero, pensaci tu”. Furono esattamente queste le parole pronunciate al telefono da Gianni Agnelli. Erano le sei del mattino. All’altro capo del filo un Boniperti assonnato, ma come sempre lucido e reattivo. La risposta, dice la leggenda, fu garibaldiniana per la serie “Obbedisco”.E anche se non andò esattamente a quel modo, il senso era quello. L’ex bomber biondo della Juventus che vinceva, ribattezzato per scherno “Marisa” dalle tifoserie avversarie, era il nuovo presidente. L’uomo giusto al momento giusto. Parlano per lui e per il suo lavoro gli annali del calcio. Ciò che Valletta era stato per la Fiat (e per l’Avvocato), Boniperti lo sarà per la Juventus (e per l’Avvocato).

Ecco, io credo che Silvio Berlusconi dovrebbe riflettere molto seriamente sulle pagine che raccontano di un “presidentissimo” alla cui figura il “padrone” aveva delegato le sorti del suo gioiello preferito senza per questo sentirsi sminuito o esautorato. Certamente, trattandosi di un impegno economico sempre più pesante, il Cavaliere potrà anche affidarsi ad un partner finanziario esattamente come fece Agnelli quando permise di entrare nell’azionariato Juventus- Fiat al colonnello Gheddafi. Ma, allo stesso tempo, avrebbe il dovere di osservarsi intorno tentando di individuare il “suo Boniperti” e, insieme, di tagliare con coraggio dall’albero rossonero i rami secchi che non sono più in grado di dare frutti. Con tanti rigraziamenti, sinceri, a Galliani per il lavoro svolto. Poi se, per esempio, Berlusconi decidesse di telefonare a casa di Paolo Maldini e di chiedergli se mai fosse disposto a lavorare per una radicale rifondazione del Milan, insieme con un paio di nuovi collaboratori capaci e ben motivati, probabilmente il popolo rossonero del Meazza non replicherà la desolante contestazione di domenica scorsa. Certo, Berlusconi allo stadio non si sentirà più chiamare presidente ma Cavaliere. Anche a Gianni Agnelli, però, la gente si rivolgeva con “Avvocato”. E lui, in tribuna e a casa, era tanto felice. 
 

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