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  • Bernardini: il Barone e il Marocchino, una storia bianconera

    Bernardini: il Barone e il Marocchino, una storia bianconera

    Quando esce un nuovo libro dovrebbe essere un giorno di festa. Come quando un bambino viene al mondo. Due eventi miracolosi e frutto di un unico genitore il cui nome è amore. Scrivere un libro, non importa se sia destinato a best seller oppure a rimanere un messaggio riservato a pochi amici, significa aprire la porta del proprio cuore e permettere agli altri di osservare dentro, di lasciarsi indagare senza provare vergogna per ciò che troveranno: anche errori omissioni che fanno parte dell’umana natura. Sicchè tanto è più coraggioso l’autore nel dire la verità, tanto sarà più preziosa e utile la neonata opera. Seppoi scalerà anche le classifiche dei “più venduti” ancora meglio. In caso contrario, benedetto sia egualmente quel libro e chi l’ha scritto perché si sarà guadagnato uno spicchio di eternità.

    “L’unica cosa che conta è vincere”. Era ed è rimasta la frase che ha regolato come un metronomo l’intera esistenza di un grande presidente del calcio. Giampiero Boniperti il quale a quel modo assai poco decoubertiniano esordiva ogni volta che si trovava di fronte un giocatore arrivato di fresco alla Juventus. Una regola che non andava disattesa per nessun motivo al mondo e che dava la misura di quella che fosse la colonna portante della filosofia bianconera. “ L’unica  cosa ce conta è vincere” è, adesso, il titolo di un libro edito dalla Sperling & Kupfer (154 pagine, 15 euro il suo costo) scritto da un mito del calcio internazionale. Indimenticabile con addosso la maglia numero 7 e sotto il naso un paio di baffi da condottiero asburgico. Franco Causio, detto il “Barone”, che ha deciso di raccontarsi e di raccontare lasciandosi indirizzare per mettere bene in ordine i suoi pensieri da un bravo e navigato giornalista come Italo  Cucci. Da questa singolare collaborazione è nato un libro davvero speciale per la semplicità e per la naturalezza che ciascuna pagina trasuda ma soprattutto per la grande onestà intellettuale che è possibile cogliere tra le righe di un lungo racconto dove di finto e di costruito vi è proprio nulla.

    Un romanzo-verità esattamente speculare al suo autore. Dal Franco Causio bambino e figlio di quel profondo sud così ricco di orgoglio, al ragazzino che non si vergogna di faticare con umiltà pur di dare una mano ai genitori, al giovane uomo migrante con un sogno persino sfacciato nella valigia, all’uomo fatto che pur avendo raggiunto la cima della montagna mai dimentica da dove è partito, al saggio “pensionato” che pensa di poter insegnare qualche cosa di utile a coloro i quali avranno la pazienza di starlo ad ascoltare. Una vita da lottatore con il cuore indomito. Un esempio di umanità prima ancora che di genialità professionale.

    Ho girovagato per il mondo con quella Juventus della quale lui rappresentava la fantasia al  potere. L’ho visto salire uno per uno, con naturalezza e sacrificio, tutti i gradini che lo avrebbero condotto al vertice della piramide. L’ho sorpreso basito e con l’espressione da bambino tradito il  giorno in cui lo trattarono, senza motivi apparenti, come un vuoto a rendere. L’ho notato, con gioia, reagire da leone all’ingiustizia del declassamento. L’ho celebrato nel giorno della resurrezione miracolosa in una notte madrilena. L’ho confortato quando, lui per primo cosciente del fatto che l’eternità non è di questo mondo imperfetto, ha infilato con dignità il viale del tramonto. L’ho seguito nella sua nuova vita di marito e padre felice in quella terra friulana dove, forse, mai avrebbe immaginato di dover mettere radici definitive. Lo applaudo adesso che ha saputo, con la medesima e geniale allegria di quando era “brazil”, regalare se stesso agli altri senza segreti e senza finzioni.

    Le sue confessioni sono altrettante lezioni di vita. “Credo di aver avuto una sola parola. Sempre e per tutti. Come calciatore e come uomo. Un perfetto terrone, termine sacro, orgoglioso di essere tale soprattutto una volta arrivato al nord per diventare bandiera di altri terroni come me. Il successo in testa non per vanità ma come figlio del sacrificio e della costante ricerca della perfezione. Noi leccesi siamo così. Forse troppo intransigenti, ma prima ancora con noi stessi che non con gli altri. Perdere non ci  piace. Antonio Conte, altro leccese come me, non perderà. Comunque vada, avrà lasciato il segno del  suo passaggio anche in nazionale. Ero volutamente preciso e curato anche nel vestire, certamente, sempre con camicia e cravatta. La forza di essere in  ogni occasione identico. Ho bluffato solo una volta. Giocando a scopa con Zoff, contro Pertini e Bearzot, tornando dalla Spagna. Misi in tavola un sette e il presidente, pensando ne avessi un altro lo lasciò passare. Così vincemmo noi. Per il resto non ho mai finto. Con la gente umile e con i principi, sempre uguale a me stesso. Per questo l’avvocato Gianni Agnelli mi stimava e Boniperti mi voleva bene. Fare il proprio lavoro con scrupolo e dedizione anche a costo di apparire un maniaco. Mai un bicchiere di vino in più a talvolta o una sigaretta in eccesso. Trattare gli amici e i compagni come vorresti essere trattato tu da loro.  Con rispetto. Anche gli avversari, se sono leali. E’ stata, in sintesi, questa la mia vita. Lo è ancora oggi”.

    E lo fu anche il giorno in cui, dopo sei scudetti vinti e una Coppa internazionale conquistata, Giovanni Trapattoni decise che la sua Juventus avrebbe potuto fare a meno del Barone. Panchina dietro panchina, ma senza mai protestare, tremava il baffo di Causio vedendo alternarsi  in campo e con addosso la sua mitica “sette” Domenico Marocchino e Pietro Fanna. Specialmente il primo che, pur ragazzo d’oro e con il cuore in mano, professionalmente era l’altra faccia del Barone. Chi non mi vuole più non mi merita, pensò. “E finii a Udine, alla corte dei Pozzo. Quattro anni indimenticabili con a fianco Zico, Edinho, Virdis, Mauro culminati con la convocazione di Bearzot in Spagna e con la partita decisiva contro la Germania in campo per diventare campione del mondo. Poi venni a sapere che l’Avvocato durante una telefonata disse a Boniperti: ma non mi avevate detto che Causio era un campione ormai finito? Una fra le più grandi soddisfazioni della mia vita professionale”. Eppure il Franco ha un cuore grande così. Ha amato tanto la Signora e non la dimenticherà mai. Vede giocare un ragazzino, Padova. Telefona a Boniperti che non perde tempo. Alessandro Del Piero, l’ultimo regalo di Franco Causio alla “sua” Juventus. Un autentico Barone.

    Marco Bernardini

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