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  • Bernardini: S come Sacchi e come Sousa

    Bernardini: S come Sacchi e come Sousa

    E’ un vero peccato che il professor Ido Silvagni non ci sia più. Se me è andato una quindicina di anni fa lasciando, insieme ai suoi dipinti e alle pagine colte in latino e greco dettate ai suoi allievi, un vuoto incolmabile nella brava gente di Fusignano. Angolo di Romagna autentica. Quella partigiana eppoi, ora, disponibile al dialogo planetario: una moschea nella industriale e una Casa del Regno per i Testimoni di Geova. Più o meno, da anni, il medesimo numero di abitanti. Ottomila o poco di più e uno di loro illustre e vivente. Arrigo Sacchi il quale, dopo il musicista Corelli e il poeta Monti, figura tra le celebrità della cultura. Certo, cultura. Perché il calcio, spogliato dei panni barbarici e contradaioli, possiede una valenza sociale la cui prorompenza non può essere ignorata. E l’Arrigo dal giorno in cui decise di ripudiare l’azienda di famiglia per dedicarsi alla “scuola del pallone” è l’indiscusso profeta di questa religione laica.

    Ma torniamo, per un momento, al professor Silvagni e a quella che, oltre la siepe della professione, era la sua vera vocazione. Squarciare il velo del presente per andare a leggere il futuro attraverso lo strumento dei tarocchi. Insomma, un cartomante di quelli che (e sono rarissimi) lo fanno non per denaro ma perché la loro vita può avere un senso solamente se riescono ad aiutare il prossimo. Ebbene, per anni, la strada che unisce la casa di Sacchi all’abitazione del professore è stata percorsa, avanti e indietro, da colui che nel tempo sarebbe diventato il padre riconosciuto di tutti gli allenatori dell’era contemporanea. Silvagni l’ho incontrato all’oscuro di Arrigo  in un pomeriggio di nebbia spessa romagnola, nel suo studio che profumava di incensini indiani bruciati. Sacchi era al suo primo anno al Milan e già si trovava tra le mani una patata bollente di nome Borghi. Un giocatore argentino per il quale il presidente Berlusconi si era preso una “cotta” calcistica senza precedenti ma anche priva di motivazioni reali. Il mister, accà nisciuno è fesso, aveva inquadrato perfettamente la situazione. Lui il campione di ruolo lo aveva. Si chiamava Rijkaard. Ma il “patron” non voleva sentire ragioni. Doveva giocare Borghi. 

    Silvagni aprì un armadio chiuso a chiave e tirò fuori una valigetta piena di audiocassette. Su quei nastri c’erano le voci registrate di tutti i giocatori rossoneri, titolari e riserve. “Me li ha fatti avere Arrigo. Io l’ho ascoltate un sacco di volte con grande attenzione. Mi creda oppure no, fa niente. Con l’aiuto delle carte e attraverso l’impressione dei suoni  che ho sentito, sono riuscito a stilare la formazione del Milan che vincerà tutto nei prossimi anni. Ebbene, in questa squadra Borghi non esiste”. Per la prima volta nella storia, Berlusconi venne battuto da un allenatore che si affidava anche alla voce delle stelle. Del resto anche lo svedese Liedholm stilava la formazione  della domenica soltanto dopo aver consultato il suo astrologo personale. E non si trattava di superstizione alla Oronzo Canà.

    Mi è tornato alla mente questo episodio minimalista e se vogliamo anche bizzarro dopo aver letto il “fondo”sul campionato  scritto da Arrigo Sacchi per la “rosea”. Una disamina attenta e coraggiosa, come sempre, retta in piedi da colonne portanti che non possono essere mese in discussione. Una su tutte. La momentanea “grandeur” interista di un Roberto Mancini il quale, tutto genio e fantasia da calciatore, come allenatore ha cambiato atteggiamento affidandosi a concetti strategici come  “forza fisica”, “difensivismo ortodosso”, “valore del singolo”, “priorità assoluta del risultato”i quali non prevedono le voci “divertimento” e “spettacolo”. E’ vero che nella vita non si può avere tutto. Ma è altrettanto vero che provarci fa bene alla salute oltreché allo spirito.  Sacchi, in questo senso, non si è mai tirato indietro. Tant’è, ancora oggi, ama raccontare. “Ricordo che, un giorno, Van Basten venne da me per chiedermi perché continuavo a predicare che vincere non è sufficiente. Gli risposi così. Marco, quando entri in campo, guardati intorno e osserva bene tutta la gente che è venuta a vedervi giocare. Vogliono che vinciate, naturalmente. Ma soprattutto desiderano tornare a casa felici dopo essersi divertiti. Si chiama spettacolo e nessuno di voi, da solo, può concederlo. Tutti insieme sì e non occorre essere tutti superman. Una delle tante lezioni di Sacchi che affascinò altri suoi allievi. Ricorda con orgoglio Arrigo. 

    Guardiola, per esempio, al Barcellona rinunciando a solisti come Ibra,  Ronaldinho e Deco perché l’importante era avere una orchestra affiatata per un grande concerto”. Come quella diretta, ora, da Paulo Sousa e suonata da una Fiorentina che, non a caso, viaggia affiancata all’Inter: “Le due facce della stessa medaglia. Da una parte il pragmatismo di Mancini, dall’altra la ricerca della bellezza da parte di Paolo Sousa”.  E c’è chi con una “grande bellezza” ha vinto l’Oscar. Proprio come il Milan di Sacchi. E ora sarei curioso di sapere cosa dicono le carte.


    Marco Bernardini

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