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  • Bocciato da Pozzo, si rivedeva in Tardelli: la storia di Michele Moretti, il terzino partigiano che uccise Mussolini
Bocciato da Pozzo, si rivedeva in Tardelli: la storia di Michele Moretti, il terzino partigiano che uccise Mussolini

Bocciato da Pozzo, si rivedeva in Tardelli: la storia di Michele Moretti, il terzino partigiano che uccise Mussolini

  • Fernando Pernambuco
    Fernando Pernambuco
Il terzino e il partigiano. Come terzino destro contribuì, tra il 1927 e il 1935, al periodo di gloria della Comense, portandola dalla C alle soglie della serie A. Come partigiano, sarebbe restato nella storia.

Vide sfumare il suo sogno, quando la squadra di Como, perse all’ ultima giornata (1934 ) contro il Bari 4 a 2. Michele Moretti, gloria comasca, difensore votato all’attacco in tempi non sospetti, divenne invece, fuori dal campo, sospetto. Fu per la passione calcistica del federale locale se non venne cacciato dalla squadra e processato.

Troppi gli spettatori, troppe le fotografie in cui il giocatore in maglietta e mutandoni non protendeva il braccio nel saluto fascista, di prammatica prima di ogni gara. Il padre fu licenziato a causa di simpatie socialiste, lui, Michele, si divideva tra calcio e fabbrica (faceva l’operaio idraulico) per portare a casa i soldi. Sul campo, era come nella vita, generoso e focoso, agile e mazzolatore. Il Commissario tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo lo notò e lo convocò, ma qualcosa negli allenamenti, non quadrò: poca disciplina, troppe intemperanze. Tattiche e caratteriali. Spesso mollava l’uomo per partire sulla fascia con progressione impressionante, ma lasciava sguarnita la difesa (una specie di Cancelo d’altri tempi ) e a chi glielo faceva notare rispondeva che lui era fatto così: prendere o lasciare. Fu lasciato.

Incline a scappare sulla fascia, nel ’44 scappò nella macchia, fuggendo da un centro di deportati, e si dette alla lotta clandestina contro i nazifascisti. Il destino gli avrebbe riservato un appuntamento cruciale. Come commissario della 52esima Brigata Garibaldi, Moretti (alias Pietro Gatti) intercettò, il 27 Aprile del ’45 a Musso, una colonna motorizzata tedesca in ritirata: ne permise il passaggio, a patto che fossero consegnati i fascisti al seguito. Fra questi, a Dongo, furono riconosciuti Benito Mussolini e Claretta Petacci. Secondo una versione, ad uccidere il Duce e l’amante fu Walter Audisio detto “Valerio”. In seguito ad alcune testimonianze, a un riesame della necroscopia - effettuata nel 1945 sul cadavere di Mussolini - a vari studi computerizzati su foto, riprese cinematografiche e cartelle cliniche, il Professore Baima Bollone, ordinario di medicina legale nell’Università di Torino, giunse alla conclusione che a uccidere il Duce era stata l’arma  (un mitra francese MAS 7,65) di Moretti. Secondo un testimone, infatti, i colpi del Thompson di Audisio non risultarono letali.

Moretti, ligio alle consegne, avvalorò la tesi ufficiale del CLNAI (Comitato Liberazione Alta Italia), ma si trovò coinvolto in un trafugamento di denaro collegato al famoso “oro di Dongo”. Assolto nel 1947,  tornò a lavorare in una fabbrica del comasco in cui divenne rappresentante sindacale. Licenziato dall’azienda, nel 1954 a seguito delle lotte operaie, diventò lavoratore autonomo, tornando al suo primo lavoro d’idraulico. Ogni tanto compariva al Sinigaglia. Dopo aver visto giocare Tardelli terzino sinistro, a metà degli anni’70,  lui, di poche parole, disse: “Quello è come me, dovrebbe giocare in avanti”. Prima di morire, nel 1995, fu ampiamente accontentato.

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