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  • Borussia, Klopp:  'Sto scrivendo una favola per ragazzi'

    Borussia, Klopp: 'Sto scrivendo una favola per ragazzi'

    Hummels e Subotic hanno detto: "Stiamo vivendo un film di Hollywood. Speriamo che abbia la stessa fine dei film Usa". Jürgen Klopp, tecnico del Borussia Dortmund, più abituato ai libri grazie alla moglie scrittrice, usa un’altra metafora: "La nostra dal 2005 a oggi sembra una fiaba". Già, 8 anni fa, il club era sull’orlo del fallimento. Oggi è alla vigilia della finale di Champions tutta tedesca, col Bayern, meta raggiunta dai borussiani solo nel 1997.

    Allora, signor Klopp, ci racconta questa fiaba? 
    "Per me è iniziata 5 anni fa. Il Bayern arriva da una lunga tradizione alle spalle, i mitici anni 70, i grandi campioni. Noi nel 2008 non avevamo questi obiettivi. Volevamo ricostruire un club decaduto, giocare un buon calcio, far divertire i tifosi e far crescere tanti ragazzi in rosa".

    Missione compiuta? 

    "Sì. Le faccio degli esempi. Marcel Schmelzer, 25 anni. Quando nel 2008 me lo presentò il d.s. Zorc, gli dissi: "Ma è un bambino!". "Lui può giocare sempre", rispose Zorc. Oggi è il miglior laterale mancino.O Subotic: lo incontrai per la prima volta che aveva 17 anni e io allenavo il Mainz. Giocava nei parchi in America (dove viveva con la famiglia, scappata dalla Bosnia, ndr), non aveva club, ma era nazionale Usa Under 17. Lo portai subito in Germania. O Sahin, l’ho visto a 16 anni in Bundesliga, con un taglio di capelli orribile… L’ho ritrovato nel club nel 2008 dopo un prestito al Feyenoord, a 20 anni era un uomo, cresciuto, maturato, ha già un figlio".

    Lei li ha cresciuti, li ha fatti vincere ma qualcuno se ne vuole andare a fine anno. 

    "Non è facile trovare un club come il Borussia: 80 mila fan, uno stadio bellissimo, società e gruppo sani. Ma è normale: ogni essere umano fa sogni diversi. Io volevo girare il mondo e sono rimasto 20 anni a Mainz e da 5 a Dortmund. Prima non avevo i soldi per viaggiare, ora non ho il tempo…".

    Dispiace quando qualcuno va via: come dei figli? 
    "Tanto. Sahin nel 2011 andò al Real, pensando, quale club migliore? È partito che era un gran giocatore...".

    E al Real ha giocato poco. 
    "Non sempre cambiare è il miglior modo per migliorare, serve pazienza. Ma posso capire: magari qui ti annoi o altrove ti danno più soldi".

    Per esempio al Bayern… 

    "Ma i soldi nel calcio non sono tutto. Sì, il denaro accresce le tue possibilità, ma non è che vince di sicuro chi spende di più. Ci sono altri modi per farlo, scoprire nuovi talenti…".

    Se si guarda alla Bundes non c’è gara a Wembley? 
    "Infatti pare assurdo, non possiamo avere 25 punti di distanza dal Bayern. Ma è solo colpa nostra. Col Bayern non c’è tutto questo divario. Abbiamo pareggiato in campionato e perso in coppa di Germania 1-0, in una pessima giornata".

    E non c’è confronto sul piano economico con loro. 

    "No, in questi anni abbiamo deciso che non si poteva spendere più di quanto guadagnato. È stata dura, abbiamo dovuto vendere Kagawa, uno dei migliori nel suo ruolo. Ma lui voleva andare a Manchester".

    Allo United ha giocato solo 17 presenze, 12 da titolare. 
    "Con Van Persie e Rooney, Shinji si è spostato a sinistra, ha cambiato ruolo. Abbiamo pianto abbracciati per 20 minuti quando è andato via".

    Piangerà pure con Götze? 
    "No, è diverso. La verità è che Mario voleva giocare con Guardiola, posso capirlo. E altri club possono offrirgli un contratto più lungo e ricco del nostro. Anche se ci sono rimasto male quando ho saputo che andava al Bayern".

    Lei in campo com'era? 

    "La velocità era il mio solo talento. Così ho iniziato da attaccante e ho finito da difensore, non correvo più. Si facevano un sacco di errori allora, di preparazione. Ora vedi gare velocissime, gente che corre 12 km a match e dopo 3 giorni è di nuovo in campo. E' il nostro gioco: velocità, qualità, precisione. Non è facile trovare giovani bravi, veloci, potenti, con esperienza: li si costruisce".

    Guardiola: è un esempio? 
    "Sa che ho fatto vedere ai miei del Barça? La cosa più istruttiva non è come giocano, ma come celebrano i gol! Pure dopo un 600° gol in Liga ci mettono una gioia unica. È la motivazione che gli ha dato Pep".

    Il suo modello di coach? 

    "Wolfgang Frank, al Mainz (’95- 97 e '98-00, ndr), quando giocavo. Con lui siamo stati uno dei primi team in Germania, e in B, a usare il 4-4-2 di Sacchi e del Milan. Le migliori cose su zona e tattica le ho apprese da Frank. Prima si doveva solo correre e inseguire l’avversario fin sotto la doccia! Con la zona ho imparato a costruire, non solo a distruggere. Frank ci avrà fatto vedere i video del Milan di Maldini, Baresi 500 mila volte… Eravamo esausti, era così noioso…".

    Lei è originario della Foresta Nera. 
    "Di un paesino di 1.500 anime. Papà Norbert, morto nel 2001, era rappresentate di una ditta di ferramenta e maestro di tennis, sci, calcio, fu un buon portiere da dilettante".

    Esperienze curiose da tecnico, pure a Mainz? 

    "L’estate che fummo promossi in Bundes, 2004, decisi per un ritiro particolare. Era la prima Bundes del club in 100 anni di storia, sognavamo di salvarci. Volevo costruire un gruppo d’acciaio. Portai la squadra in Svezia, in un lago con tante isolette, 5 giorni, solo con le tende da campeggio e le canoe: né elettricità, né mezzi di comunicazione, né cibo. Dovevamo pescare e sopravvivere. Di notte in tenda era scomodo, pietre e radici sotto il culo ovunque. Di giorno pioveva e se non pioveva c’erano le zanzare… Ho costruito un team unito, fummo undicesimi. Se vuoi risultati eccezionali devi vivere emozioni speciali insieme. Puoi parlare di spirito di gruppo o puoi viverlo".

    2008: la cercò l’Amburgo? 

    "Arrivai in ritardo all’appuntamento, con un sigaro, in jeans, pure bucati… Ma mi conoscevano, per 3 anni ero stato commentatore alla Zdf dei match della nazionale. Il giorno dopo lessi su "SportBild" che dicevano che non ero il tipo giusto, perché i giocatori mi chiamavano Kloppo e cose così. Ma i calciatori del Mainz erano stati quasi tutti miei compagni, così che non mi chiamavano "sir o mister", ma Kloppo. E non era una mancanza di rispetto. Ma se avevano dubbi su di me io gli dissi di no, non sarei andato lì".

    E poi la chiamò Uli Hoeness del Bayern. 

    "Ero al Mainz, mi telefonò nell’inverno 2007-08, stavano guardandosi attorno per il dopo Hitzfeld e mi chiese se fossi stato disponibile. "Perché no?", dissi e pensai ridendo "ora magari lo chiedo alla mamma"… Ma come, sono un coach di B, mi chiama il Bayern e dovrei dire di no? Alla fine presero Klinsmann".

    Le sue avventure sono state utili a sua moglie Ulla, scrittrice per ragazzi? 
    "Sì, lei è la nostra Rowling, la scrittrice di "Harry Potter". E' insegnante di sostegno e ha scritto un libro di successo: "Tom e la magia del calcio", chiaro che le ho dato una mano. Penso, rispetto a lei, di sapere qualcosina di più di calcio…".


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