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  • Bucciantini: Milan passo avanti, Inter non disperare. Ecco i segreti del Napoli

    Bucciantini: Milan passo avanti, Inter non disperare. Ecco i segreti del Napoli

    Undici partite per capire che le gerarchie sono quelle, intatte, dello scorso anno. Ma undici partite per arrivarci modo diverso, che racconta il tentativo di Allegri di aggiungere qualcosa alla Juventus, prevedendo di perdere un po’ dell’intensità ereditata da Conte.

    JUVENTUS - Lo scorso venerdì volevamo intitolare il pezzo “nascita di una squadra”, un concetto che emergeva nell’analisi di quella partita sghemba ma importante che la Juventus aveva vinto contro i greci. Con dolcezza, la paragonammo alla rimonta di vent’anni prima, contro la Fiorentina, al Delle Alpi. Era una suggestione, un riflusso quasi, venuto su assistendo a quel match. Nel momento più difficile, la Juventus ha rifiutato di cedere, si è ribellata alla secolarizzazione, rinnovando le sue ambizioni, e proponendo qualcosa in più pescato dalle idee di Allegri e dall’organico. Manca ancora una collocazione efficace per Pereyra (ammesso che serva), mancano i minuti di Giovinco (s’è visto che Tevez non va portato a cottura, ma va conservato bene, ché fa la differenza anche da un punto di vista di personalità). C’è da lavorare per “sorpassare” la regia di Pirlo, quando giocoforza mancherà o verrà risparmiata, e con la difesa a quattro (e due esterni bassi così intraprendenti) potrà succedere spesso. Però la Juventus si ricostituisce con le vittorie, e quel testacoda sul baratro che fu offerto nello scorso turno di coppa è indubbiamente l’inizio di qualcosa

    ROMA - La Roma s’è rinfrancata per una verità molto sottovalutata: le sue partite peggiori sono finite. Nel calendario di Serie A, le due trasferte più difficili (a Torino, a Napoli) sono giocate, e perse, come lo scorso anno. In Champions, la tassa ai tedeschi è pagata, con danni emotivi più che pratici. Essendo la squadra di Garcia eccezionale nel gestire gli avversari “battibili”, ma evidentemente (nel senso che lo dimostrano i fatti) affetta da un limite superiore contro certi altri avversari, adesso la Roma torna padrona del suo destino. Garcia questo l’ha capito a Napoli, dopo tre sconfitte. Ha malinteso quella di Torino, truffato da episodi controversi e contrari. Ha malinteso quella epica dell’Olimpico contro il Bayern, ammantata da un tracollo emotivo e psico-fisico. Ma ha capito quella del San Paolo: la Roma soffre fino all’annichilimento le squadre che sanno viaggiare sovra ritmo e possono creare uno spettro ampio di problemi offensivi. La Roma è eccezionale a prendere le misure agli altri, a lavorare con l’anticipo dei difensori su uno-due punti di forza degli altri. Quando i problemi sono estesi (dai lati, dal centro, palla a terra, palla alta, uno-contro-uno, con combinazioni veloci) i raddoppi saltano, le maglie si allargano, Pjanic e Totti diventano un lusso e si sfiatano in fretta. Ecco a Monaco la presa di coscienza: non facciamoci del male, non sprechiamo nemmeno un’ammonizione. Le partite da vincere sono altre, anzi: sono TUTTE le altre. Con il Torino, a Mosca, tanto per cominciare. E in Serie A i due peggiori affronti che proponeva il calendario sono passati. Il tentativo di mettere insieme Keita e De Rossi è importante, in prospettiva. Invertire il triangolo di centrocampo, chiamando Totti più nel vivo del gioco (e Totti partecipa, senza strafare, alle reti). Ljajic nasconde la carenza realizzativa del Gervinho d’autunno, ma le riserve di qualità servono proprio a questo. Con Maicon e Strootman la squadra avrà altri due riconoscibili e pregevoli modi di entrare in area: e servono, specie con avversari più robusti.

    NAPOLI - Il Napoli fa i tre punti più prestigiosi. Higuain sta bene e quando è sereno s’ingrandisce a campione: segna e vede il gioco come un regista d’attacco. Anche qui c’è una novità che è passata in silenzio, eppure è decisiva: l’uso di David Lopez e Jorginho ha cambiato la mediana del Napoli. Il primo è migliore nel presidio, nei raddoppi, dell’interdizione di contenimento (non fallosa e discontinua alla Inler). Il secondo aiuta Hamsik a cucire la squadra. Il disimpegno si è sveltito, al massimo due tocchi, mentre Inler ha il vizio del tocco in più, e così spesso la squadra perde il tempo di gioco migliore per volare in contropiede. Inoltre, Lopez e Jorginho leggono meglio la manovra degli altri, si mettono meglio nelle linee del passaggio (mentre Inler le rincorre, queste linee – e Berhami, va ricordato, interveniva solo sul portatore, mai sulla trama). Insomma, la manovra nasce prima e nasce più limpida. Anche la corsa ritrovata di Maggio accorcia le distanze con l’attacco, e il Napoli è tutto qui: quanto più è capace di accorciare in avanti, tanto più è potente, irresistibile. Però la Fiorentina ha concesso la partita preferita, ingolfandosi nel palleggio centrale, offrendo quelle suddette linee di palleggio che Jorginho, Lopez e Hamsik hanno intuito e divorato. MOntella sperava di tener palla sugli esterni e per questo ha messo Ilicic a destra. Ma lo sloveno è un incubo tattico: a Palermo era fenomenale perché il primo passaggio dell’azione andava verso di lui (o Miccoli). Servito così, sa duellare contro le difese. A Firenze tocca a lui dopo almeno 5-6 passaggi: servito così, è imbarazzante. E non funzione, e deprime ogni considerazione tattica. La Fiorentina doveva sì giocare la sua partita sugli esterni, dove il Napoli fatica a difendere e a recuperare palla, ma doveva farlo con giocatori “naturali”, capaci di vedere il fondo del campo come approdo: Vargas, Pasqual. Andando con i centrocampisti a fraseggiare laggiù, allontanando il Napoli dai suoi attaccanti. Quando Montella ha messo un destro (Cuadrado) a destra, e un mancino (Pasqual, ma solo all’81esimo!!!) a sinistra, la Fiorentina ha cominciato a rivalutare le corsie esterne e a metter palla nell’area del Napoli. 

    FIORENTINA - Montella ha riportato la Fiorentina nel vertice del calcio italiano, e la squadra si è fatta posto con un’estetica di gioco che per due anni è stata così piena, così fluida, così bella da superare i risultati nell’orgoglio dei tifosi. Però adesso c’è un manierismo incombente da evitare, e incongruenze tattiche da risolvere. È il primo momento difficile nella carriera del tecnico: sarà curioso misurarlo con questi problemi. La società non lo ha aiutato, elevando gli obiettivi con poca saggezza, l’indomani della perdita di Rossi, e riempiendo lo spogliatoio di gente inutile alla causa e trasmettendo poca unità d’intenti: ieri in tribuna non c’erano né presidenti in carica né onorari, per una sfida che valeva molto. Sono lacune inaccettabili e inconciliabili con certe ambizioni.

    MILAN - Il Milan ha fatto un passo avanti nella considerazione del campo, anche se manca ancora di personalità nei momenti difficili (e subisce due reti, quando gli altri giocano meglio). È la classica annata di transizione, dove bisogna accompagnare un progetto nei suoi alti e bassi. Di Torres abbiamo scritto mille volte: è faticoso per lui giocare con certi compagni, che palleggiano e si muovono in modo anarchico e per corsie esterne, mentre lo spagnolo vuole la palla svelta, al centro. Vediamo se Montolivo riuscirà a inserirlo dentro il gioco del Milan, vediamo anche se gli esterni (ai quali è chiesto un ruolo enorme, in questa squadra) saranno all’altezza con maggiore continuità. Va detto che la Sampdoria è davvero grande nel concetto di squadra, nella mutualità, nella tenacia, ed è sottovalutata nella qualità di alcuni uomini preziosi (Eder, Gabbiadini ma anche Soriano, che sa governare l’azione). Obiang poi è un dominatore del centrocampo: questo 22enne merita molta considerazione, perché non è solo muscolare.

    INTER - Eccoci all’Inter: non può disperarsi per la sua classifica. Per ora, l’Inter è questa. Vive di episodi sia i momenti migliori che quelli brutti. Non sa possedere le partite, non sa impressionare, ha poche soluzioni e tutte prevedibili, infatti dev’essere un duello vinto ad accendere la manovra. I pochi schemi sono individuali: il trasporto palla di Kovacic (diseguale, come può esserlo un talento giovane) e l’aria che Palacio riesce a dare al gioco, per sua vocazione, non certo per compito tattico. Gli esterni stanno rendendo poco (ma sperare che il recupero di Jonathan cambi la stagione è comico): l’azione è troppo lenta per coinvolgerli con i tempi giusti. Mazzarri dovrebbe provare a fare interdizione venti metri più su, ieri Kuzmanovic ha tentato individualmente questo lavoro, ma l’Inter è zavorrata dietro da tre centrali difensivi, tutti piuttosto guardinghi, e non riesce a pensare un calcio diverso. Parla della pioggia, e fa tenerezza. L’ambiente gli è ostile, e questo attanaglia tutti; lui, la squadra, la tribuna d’onore, in una morsa di attendismo, la speranza che tutto si risolva o anche che tutto precipiti, per spazzare via gli alibi e prendere decisioni forti.

    Marco Bucciantini 
     

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