Calcio femminile, la Nazionale non basta: l'Italia deve ridurre il gap con le altre nazioni o tutto andrà in fumo
Certo, se non si innalza il livello del campionato, il sistema dei vasi comunicanti, ovvero tutto ciò che transita dalla serie A alla Nazionale, rischia di compromettere la crescita. L’idea degli addetti ai lavori è che grandi frutti trarremo dalla generazione successiva a quella attuale: l’Europeo prossimo venturio, pur non segnando necessariamente il passo d’addio per alcune veterane tra le azzurre, aprirà le porte a giovani e giovanissime che stanno facendo anticamera dimostrando doti tecniche e fisiche di prima qualità. La Nazionale, dunque, resterà il traino del movimento e i suoi risultati contribuiranno ancora di più alla diffusione della pratica calcistica, come avvenuto per il Mondiale. Ecco perchè L’Europeo è altrettanto importante.
Ad un’incollatura, però, come si dice nel gergo ciclistico, viene l’attività dei club in campo
internazionale. La Champions League va verso la riforma che allargherà la partecipazione e non ridurrà ad un paio di partite la presenza delle italiane. Tuttavia è tempo che il gap si restringa e che le nostre migliori squadre (per la prossima stagione ancora due) facciano qualche passo avanti rispetto ad un desolante primo turno. E qui ci si scontra con la realtà del professionismo che altre nazioni hanno adottato e l’Italia ancora no.
Che professionismo può mai esserci se il tetto salariale va da zero a trenta mila euro lordi l’anno? Delle due l’una: o si paga in nero (e non vogliamo nemmeno pensarlo) o le giocatrici più forti resteranno o se ne andranno all’estero. Contemplare i contributi previdenziali e assistenziali, tra l’altro per il triennio 2020/2021/2022, è un passaggio obbligatorio, non un passo necessariamente in avanti. La realtà, dunque, è che non abbiamo un campionato sufficientemente attraente (anche gli ingaggi lo potrebbero essere), né competitivo visto che in Champions si rimediano figuracce. “Natura non facit saltus” dicevano i latini, quindi non sarò certo io, che mi vanto di essere un antesignano, a richiedere un’accelerazione che non sia biologicamente prevista.
La serie A è virtualmente aperta, ma perchè la Juve possa perdere lo scudetto servirebbe una follia collettiva. Finora l’unico a non avere deluso è il Milan di Ganz che, se vincerà il recupero contro il Pink Bari, tornerà al secondo posto, dove si è assestato dopo una partenza entusiasmante. Tra l’altro è l’unica squadra ad aver pareggiato con la Juve (2-2 nel recupero) togliendole due punti in una corsa fatta solo di successi. Stiamo bene ad allenatori (Sorbi da vice c.t. è andato all’Inter), anche se sono saltate già due panchine (Tavagnacco e Florentia), non per alcune squadre. Orobica, ultimissima, e Pink Bari (in perenne lotta per la salvezza) sono state recuperate a luglio al posto di Chievo e Mozzanica, il Genoa (che non c’entrava con il maschile) è sparito dalla serie B, altri club di questo campionato sono segnalati in difficoltà. Il Napoli, invece, veleggia sicuro verso la promozione in serie A, cui concorre, seppur staccata, anche la Lazio lotitiana (salgono le prime due).
La Divisione della Federcalcio ha cominciato a lavorare da poco, ma certe debolezze strutturali resistono. Il rischio è che, se il calcio femminile non genera profitti nel giro dei prossimi cinque anni, anche i club professionistici si stufino e facciano un passo indietro. Perchè un calcio a due velocità non è utile a nessuno.