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  • Carissime maglie, l'oro del calcio

    Carissime maglie, l'oro del calcio

    Altro che nostalgia: il business delle casacche è una delle voci che fa la differenza nei bilanci dei club. Per il Manchester Utd valgono 940 mln. Ma in Italia siamo indietro: "Stadi vuoti e troppa contraffazione"

    Un tempo era soprattutto una questione di cuore. La maglia delle squadre di calcio era una seconda pelle, un simbolo d'appartenenza che non cambiava mai. Da Boniperti a Del Piero, da Rivera a Kakà. Ora che i colori sono più sgargianti e il disegno cambia ogni stagione paradossalmente le divise valgono di più. Importanza certificata anche dallo storico album Calciatori Panini, presentato giovedì, che per la prima volta dedica tre figurine per ogni squadra di A alle divise. 

    Quello delle maglie da calcio per alcuni è un gioco, per altri una passione, ma soprattutto un business miliardario che riempie le casse delle società e degli sponsor tecnici facendo  -  in fin dei conti  -  felici tutti, dal tifoso all'amministratore delegato. A luglio la Adidas ha firmato un contratto decennale con il Manchester United a partire dal 2015/'16. Valore del contratto 940 milioni di euro, più o meno il triplo di quanto gli inglesi percepissero dalla Nike. 

    Cifre enormi che però impallidiscono rispetto a quanto dichiarato dal Ceo di Adidas, Herbert Hainer: il valore di marketing potenziale derivante dall'accordo è stimato in circa 2 miliardi di euro. Incasso che ripagherebbe ampiamente la cifra mostruosa investita nei Red Devils e, oltretutto, che consentirebbe loro di reinvestire cifre importanti nel calciomercato, aggiungendo altri campioni ai vari Di Maria e Falcao. Non male, specialmente in tempi di Financial Fair Play.

    Discorso simile vale per Real Madrid (Adidas), Barcellona (Nike), Arsenal (Puma, 180 milioni in 5 anni, record per qualche settimana fino alla firma fra Adidas e Man Utd) e Bayern Monaco (Adidas, 1,3 milioni di maglie vendute nella scorsa stagione, più di tutte le altre squadre di Bundesliga messe assieme). L'Italia è alla periferia di questo mondo colorato e dorato. Secondo i dati RepuCom e PR Marketing le vendite medie del quinquennio 2009/2013 vedono in testa alla classifica mondiale il Real, con 1 milione e 580mila pezzi, seguito da Manchester United (1.490.000), Barcellona (1.190.000) e Bayern (945.000). La prima squadra di casa nostra è la Juventus, nona con 375mila casacche vendute, preceduta anche da Chelsea, Arsenal, Liverpool e Marsiglia.

    Ai nostri club blasone, trofei e tifosi non mancano, eppure il boom delle maglie da calcio nel nostro Paese resta un miraggio. Il motivo prova a spiegarlo Gianluca Pavanello, ad di Macron, azienda emiliana che fornisce kit a squadre di sette Paesi diversi: dal Napoli all'Aston Villa, dalla Lazio al Bolton, squadra di B inglese per la quale "sponsorizza" anche lo stadio. Macron ha creato alcune delle maglie più vendute in Italia, fra le quali la celebre mimetica del Napoli, oggetto di culto per tifosi e appassionati. "Il problema è in gran parte legato agli stadi. Sono vuoti, si è persa l'abitudine di partecipare alla partita della propria squadra e quindi manca anche un momento forte d'acquisto. Vedendo le partite dal divano manca il legame emozionale e diminuisce la potenzialità di vendita. 

    A differenza dell'estero, poi, sono pochi gli stadi attrezzati con store di un certo tipo. Stiamo sottovalutando questo rapporto, come dimostra anche la crescita di vendite avuta dalla Juventus all'indomani dell'apertura dello Stadium". Per non parlare della piaga del falso, la "maglia tarocca" venduta fuori dallo stadio: "Il falso  -  conclude Pavanello  -  si combatte con la qualità. Le maglie costano 80 euro, tanto. Non è possibile spenderli per una replica monotessuto, tirata via. A quel punto il tifoso spende 20 euro alla bancarella. Noi a 80 euro diamo al tifoso la stessa maglia che va in campo la domenica". Sembrano inezie, finché non ci si rende conto che possono valere miliardi.

    Fabio Pisanu per repubblica.it

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