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Cassano: 'Sono ancora da Serie A: in quattro squadre andrei persino gratis'

Cassano: 'Sono ancora da Serie A: in quattro squadre andrei persino gratis'

“Zazza, faccio una quindicina di chilometri sull’asfalto, sotto il sole di Genova, un caldo bestiale, non ho paura dell’insolazione, mica ho settant’anni. Così poi andrò più veloce sull’erba”. Così Antonio Cassano in un’intervista esclusiva a Ivan Zazzaroni sul Corriere dello Sport


L’ultima volta che ci siamo sentiti avevi 17 anni e un gol alla Baggio. La settimana dopo il mio, il nostro Guerin Sportivo ti mise in copertina inventandosi “Fantantonio”. Oggi ne hai più del doppio, chi ritrovo? 
«Un coglione». E ride. «E poi calma, Robertino è Robertino». 
 
Con quel gol all’Inter me lo ricordasti tanto: il dribbling in velocità, la finta, il tiro quasi in caduta... 
«Io ero Robertino Baggio fino al collo. Altra testa, la sua. Robertino è una persona fantastica, l’ho conosciuto, uno vero. Non come tanti leccaculo che ci sono in giro. E anche un altro tuo grande amico è come lui, Roberto, il Mancio, uno che non gliene frega un cazzo di dire quello che pensa».  
Non ci sono scorie, né pesantezze nel tono: Antonio sembra sereno, risolto, è affabile, decisamente allegro. 
 
Ti alleni per cosa? 
«Per rientrare, mi alleno per rientrare. Ho ricevuto tante offerte, squadre di A e di B, per ora non mi hanno convinto. Non vado dove si parte per non retrocedere, dove non c’è un progetto». 
 
E allora dormi tranquillo. 
(Altra risata. Sua). 
Sei fermo da troppo tempo. 
«Ricordi Almeyda, Matias? Tornò dopo due anni di inattività e giocò per altri quattro. Io non ho mai subìto infortuni, né muscolari, né di altro tipo. Sono integro, perfettamente in salute. L’unico infortunio l’ho avuto alla testa, ma l’ho curata con e per i miei figli». 
 
Oddio, a Milano ti capitò qualcosa di molto più serio. 
«E chi lo dimentica? Una grande paura, solo una grande paura». 
 
Oggi, la butto lì, potresti aiutare il Bari a tornare in alto
«Voglio la A, io sono da Serie A, il Bari ce l’ho nel cuore ma non ho troppo tempo a disposizione per riconquistarlo, il campionato». 
 
Hai combinato troppi casini, Anto’. 
«Ma quella mia stagione è finita, mi sono depurato. Ho due figli, di 5 e 7 anni, sento la responsabilità di dover trasmettere un’immagine forte del padre. Questi oggi capiscono, ascoltano, rispondono a tono». 
 
Come ti racconteresti o ti racconti ai figli? 
«Carissimi, avete un padre che ha fatto il pazzerello ma che adesso è cambiato tanto». 
 
La promessa fatta cento volte e che non hai mai mantenuto. 
«Con due novità importanti in più. Loro». 
 
Antonio, oggi si direbbe che eri un tipo divisivo: nello spogliatoio non esattamente un pompiere. 
«Non ho mai avuto paura di dire le cose in faccia, e purtroppo ho spesso esagerato. Non riuscivo a controllarmi e non facevo distinzioni di ruolo: poteva trattarsi di un magazziniere come dell’allenatore o del presidente. E l’ho pagata sulla mia pelle». 
 
Più soddisfazioni o più rimpianti? 
«Più gioie. Ho giocato nella squadra del mio cuore, in Nazionale, e nella più forte del mondo, il Real». 
 
Hai sprecato un talento quasi esclusivo. Fai l’elenco delle cassanate in ordine di gravità. 
«Prima, la mancanza di rispetto avuta nei confronti di Garrone, il presidente. Ancora oggi non me la perdono». 
 
Al secondo posto? 
«I quattro anni d’inferno che ho fatto passare a Capello. Eppure lo sento ancora, non ci siamo mai lasciati. Prima dei Mondiali ero con Pierluigi (Pardo, nda) e l’abbiamo chiamato, e lui, scherzando: ‘digli a quel coglione chi era il più forte giocatore mondo’? Oh, con affetto. Capello è cambiato, secondo me si è anche addolcito, ci siamo sempre voluti bene». 
 
La terza te la ricordo io. 
(Mi interrompe). «La terza all’Europeo 2004. Dopo la prima partita con la Danimarca era programmato l’allenamento per quelli che non avevano giocato - forse questa non l’ho mai raccontata -. C’era lo scarico, io il giorno prima avevo fatto venti minuti. A un certo punto mi scese la catena e me ne andai urlando verso Trapattoni che m’ero rotto non dico cosa perché io mi sentivo titolare. Buffon mi inseguì fino allo spogliatoio dandomi ripetutamente del deficiente. Fortuna che il Pupo era squalificato, giocai la partita successiva e feci anche bene. Avevo ventidue anni, grandissima cagata». 
 
E a Parma? 
«Non la considero una cassanata. Avevo capito che non era più aria, che non c’era la possibilità di proseguire, quella volta ragionai, la riflessione fu lunga». 
 
Quante volte ti hanno fatto domande sul peso? 
«Miliardi di volte. E comunque adesso sono 82 chili, record assoluto. Neppure a vent’anni ero sceso a 82. Di solito arrivavo in ritiro a 85, 86 e giocavo a 83,84. Salvo una volta in cui superai quota mille». 
 
In effetti giorni fa ti ho visto intervistato da Stefano Meloccaro, eri abbronzato e asciutissimo. Anche nei giudizi.  
«Un figurino, pronto per fare un figurone. La verità è che avrei dovuto dare ascolto a chi mi voleva bene veramente». 
 
A chi? 
«Al Pupo, a Totti, e in particolare al suo preparatore, Vito, Vito Scala. Hanno provato decine di volte a riportarmi sulla retta via. Se solo avessi fatto il 50 per cento di quello che mi suggerivano oggi giocherei ancora ad altissimo livello. Anche da bambino facevo il contrario di quello che diceva mia madre. Ma mi mancava un venerdì, io passavo direttamente al sabato». 
 
Potresti sempre rifarti come padre. 
«Il maggiore, quello di 7 anni, ha dei numeri, ma non lo manderò a una scuola calcio. La scuola calcio deprime la fantasia. Gli ripeto che i miei figli devono giocare per strada, devono cadere e rialzarsi, sbucciarsi le ginocchia, fare sacrifici autentici. Il calcio è lo sport che ti forma sulla strada, la scuola non serve». 
 
Non raccontare ai tuoi ragazzi delle 6-700 donne avute prima del matrimonio. 
«Mi sono tenuto basso». 
 
Ma finiscila! Se chiamasse il Bologna, o il Parma… 
 
«Devo dire che Alessandro Moggi sta facendo un gran lavoro, mi ha trovato più squadre lui di tutti quelli che l’hanno preceduto. Bologna, Parma, Torino, Sassuolo: lì andrei a zero, non voglio soldi, se ne riparla alla fine. E’ la mia scommessa: se a giugno la squadra sarà soddisfatta, contratto di altri due anni, altrimenti me ne torno a casa e mi metto a studiare da diesse. Se a settembre, ottobre sono ancora così, mi iscrivo al corso di Coverciano, voglio restare nel calcio». 
 
Ormai sei un opinionista a tutti gli effetti. 
«Dovrei trovare una tv che mi garantisse la libertà di espressione: ti prendiamo così come sei, senza se e senza ma. Niente filtri, niente limiti. Io dico solo quello che mi pare, che piaccia o no. La vedo dura. In tv se vai fuori dalle righe ti rimandano a casa». 
 
E allora esprimiti su Milinkovic-Savic. 
«Mmmh. A me piace un altro genere di calciatore, io sono per Iniesta, Xavi, Pirlo. E Modric, mi piacciono i piccoletti che fanno girare la palla e la squadra». 
 
Questa Roma ringiovanita ti convince? 
«E’ due, tre anni indietro rispetto alla Juve. Sono tutte due o tre anni indietro rispetto alla Juve». 
 
Giorni fa, al Mattino mi pare, avevi detto 3 o 4 anni. 
«Stai dietro a queste cose?». 


Da sempre ho la sensazione che anche questo sia un gioco, il tuo gioco, un gioco che vuoi condurre, nel quale ti bei del tuo umorismo, della tua libertà, e che non sai a cosa e dove possa portare. Il tuo difetto è probabilmente l’eccesso di energia, un’energia che non riesci né a gestire, né a convogliare in una sola direzione. E’ una libertà che deriva dall’autonomia economica, dalla ricchezza? 
«Ero così anche quando non avevo una lira. Una vita che disperdo l’energia, dici? Ho sempre avuto bisogno di stimoli forti per andare avanti, ho sempre avuto scadenze brevi o medie. Penso che tu abbia ragione, ma ormai ho l’età giusta per riuscire ad amministrarla, questa energia, e ad amministrarmi. Mi serve solo l’occasione giusta. In fondo sarebbe l’ultima, quella che non si può bruciare». 
 
 

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